Giving Voice: recensione del documentario Netflix
Giving Voice è un'opera che segue sei giovani attori che si mettono in gioco nel prestigioso concorso August Wilson Monologue Competition.
La maggior parte delle volte in cui guardiamo un attore di successo, siamo portati a vedere solo la facciata più brillante della sua carriera, quanti soldi guadagna, quanto si gode la vita. Quello a cui non pensiamo è quanto raggiungere quel successo gli sia costato, in termini di sacrifici, e quanto sia esile la possibilità che qualcuno batta l’enorme concorrenza fino a diventare un attore famoso. Proprio questo racconta Giving Voice, documentario prodotto da una delle attrice più acclamate del momento, Viola Davis, e da Denzel Washington, una delle star di maggior successo dell’ultimo decennio. E non solo. L’opera si focalizza anche sul racconto di uno dei drammaturghi più importanti d’America: August Wilson, il due volte vincitore del premio Pulitzer che ha passato la sua intera vita a dare voce a chi una voce non ce l’ha mai avuta. Seguendo i giovani aspiranti attori viene raccontato quanto sia difficile emergere in questo campo, ma anche che il successo non è tutto. Perché il teatro, anche se non porta una carriera sfolgorante, può essere un mezzo per trovare se stessi e la propria voce. Un’opportunità che vale più di qualsiasi contratto milionario.
Giving Voice: Dietro le quinte del successo, ovvero i sacrifici e i rischi della carriera di attore
Giving Voice è un documentario che segue i primi passi di una nuova generazione di giovani artisti. In particolare, accompagna l’avventura di sei studenti e del loro percorso all’interno dell’August Wilson Monologue Competition, evento annuale che celebra uno dei più importanti drammaturghi americani. Ogni anni, migliaia di studenti selezionati in dodici città degli Stati Uniti sono invitati a presentare un monologo tratto dalle opere dello scrittore Premio Pulitzer (per Fences e Ma Rainey’s Black Bottom), nella speranza di arrivare a Broadway. Il documentario, accanto alle storie dei ragazzi che partecipano, racconta l’importanza di Wilson attraverso l’analisi del suo Century Cycle, un canone di dieci opere teatrali che ritraggono l’esperienza afroamericana del XX secolo. Lo fa usando le voci di chi lo ha conosciuto, e di chi grazie a lui ha avviato una carriera splendente: Viola Davis, che è anche produttrice esecutiva di Giving Voice, e Denzel Washington, due dei tanti attori su cui l’opera di Wilson ha avuto un impatto.
August Wilson, la voce di chi non ha voce
Non è un nome che si sente spesso, quello di August Wilson, almeno non qui da noi. Ma fuori dall’Italia, questo drammaturgo prematuramente scomparso nel 2005 per via di un tumore, è in effetti uno degli scrittori teatrali più importanti del secolo. Dare voce alle minoranze è stato lo scopo della sua vita, e ognuna delle sue dieci opere è il racconto di un particolare spaccato di vita degli afro-americani, popolo a cui appartiene e su cui si concentra. Giving Voice è uno splendido modo di scoprire il lavoro di Wilson tramite il concorso per giovani attori a lui intitolato. Ma non solo. In un periodo storico in cui il problema razziale diventa sempre più caldo, scoprire la realtà degli afro-americani tramite le dieci opere del drammaturgo aiuta tutti noi che non apparteniamo a una minoranza, a capire meglio un problema che non potremo mai comprendere davvero fino in fondo, perchè non lo viviamo sulla nostra pelle.
Vedere i giovani attori – quasi tutti afro-americani – vedersi finalmente rappresentati in un’opera di Broadway, trovare qualcuno che parla della loro realtà e dei loro problemi, è davvero un modo di farci aprire gli occhi. Giving Voice fa anche un passo in più, e ci mostra come Wilson parlasse in effetti non solo al suo popolo, ma a tutti quelli che si sentono in qualche modo esclusi, non ascoltati, emarginati. Uno dei ragazzi finalisti, Gerardo Navarro, non ha la pelle nera, ma riesce quasi più degli altri a dare profondità al monologo del suo personaggio. Gerardo è latino, e vive esattamente le stesse esperienze dei suoi compagni afro-americani, nonostante il popolo di appartenenza sia diverso.
Giving Voice: il teatro come mezzo per trovare se stessi
La parte più bella di Giving Voice è vedere come, sul palco, non ci sia nessuna discriminazione. L’opportunità data dall’August Wilson Monologue Competition è per tutti, dal ragazzo del ghetto al figlio della media borghesia, e tutti possono avere la loro occasione. Ma quello che tocca è vedere come, da questo punto di vista, l’America sia ancora il paese delle occasioni. Tra le decine, migliaia di giovani attori che partecipano alle selezioni, è impressionante notare quanti di loro vengano da quartieri poveri, da situazioni di degrado, ed è commovente capire per quanti di loro il teatro sia effettivamente un’occasione di riscatto, un modo per non prendere brutte strade, per dimostrare che valgono qualcosa anche se tutti, famiglie comprese, gli dicono il contrario.
Un luogo, soprattutto, dove poter far sentire la loro voce in un modo che, troppo spesso, non ascolta le voci dei singoli individui, meno che mai se sono giovanissimi, figurarsi se sono giovanissimi che appartengono a minoranze forzatamente zittite da secoli. Ed è bellissimo anche vedere come, proprio grazie alle opere di August Wilson, sono nate stelle come Viola Davis e Denzel Washington – che raccontano con parole toccanti la loro esperienza – ma anche Laurence Fishburne e Angela Bassett. Tutti loro hanno trovato la loro voce proprio grazie al teatro e a Wilson, tutti loro sono stati come quei ragazzi: con gli occhi brillanti di sogni e i sorrisi pieni di speranza, consapevoli che sulle tavole del palcoscenico hanno trovato un luogo sicuro, dove essere se stessi senza filtri e freni, e a prescindere dal colore della pelle.