Gli amori di Suzanna Adler: recensione del film di Benoît Jacquot
Una donna tradita e ferita, legata ad una apparenza ingannevole, a rapporti immaginari e illusori.
Intorno una natura tanto suggestiva quanto silenziosa; un silenzio interrotto solo da na porta che scricchiola ogni qualvolta viene aperta. Una continua tensione, una continua attesa che oscilla sospesa tra paura e timore che accada irrimediabilmente qualcosa di non detto, in un susseguirsi di parole che stonano come i violini scordati, di sguardi impietriti e feroci, assenti.
Gli amori di Suzanna Adler: l’irrequietezza di una donna tradita e ferita
Suzanna Adler, una donna che potrebbe avere tutto dalla vita, severamente costretta ad una solitudine inguaribile, nessun equilibrio interiore, ma la continua sottomissione a uomini che vorrebbero amarla senza conoscerla. Una storia tra i due amanti, fatta di eccessiva ebrezza, di filtri e continue finzioni che si denudano solamente una volta calato il sole; una donna persa in un perimetro troppo stretto di una prigione di incomprensioni e di infelicità. Una donna tradita e ferita, legata ad una apparenza ingannevole, a rapporti immaginari e illusori, ad un’agiatezza banale, vuota, ad una esteriorità eccessiva e vacua. Della donna non emerge altro, solo la sua malinconia. Ha un’amica però, dichiaratamente amante del marito, ma a Suzanna sembra non importare. Le due donne fingono una complicità che non c’è; chiacchierano dinnanzi ad un mare che sembra comprendere la loro estraneità e quasi reagisce non sopportando l’ipocrita confidenza, la patina perfetta di una superficie rigata dall’ovvietà, da fuligginosi e scontati discorsi che confondono la sofferenza con la serenità.
Una scenografia fredda, essenziale, con tutti gli elementi del design francese; uno stile impeccabile della donna, che si mostra avvolta da una pelliccia maculata e indossa uno stivale che ben disegna le sue lunghe gambe; un giovane amante, ossessionato dal passato continuamente presente della donna. Un continuo conflitto, che segna la profonda insoddisfazione di un uomo vittima della ricerca spasmodica di un successo che sembra non arrivare mai. Una villa da sogno che rischia di diventare un incubo animato da profonde insoddisfazioni e sensi di frustrazione; una villa da sogno d’estate che rischia di essere assassina. Nulla è esplicito; tutto si muove su un filo sospeso. È evidente l’intenzione di lasciare allo spettatore il dubbio, la libertà di costruire il proprio finale. I due amanti appaiono per tutto il film consapevoli e rassegnati di non essere l’uno per l’altra le persone giuste, pur dipendenti l’uno dall’altra, animati chi dalla noia chi dagli eccessi. Due disillusi che credono di amarsi. Improvvisa una visione, desiderio o proiezione: Michel (Niels Schneider) seduto si sporge troppo, precipita e muore, il sole è al tramonto, la sigaretta consumata, forse si amano davvero, forse si ameranno un domani, forse solo per la sera che verrà.