Gli Spacciati: recensione del film Netflix di Julien Royal

Scegliere di vedere Gli Spacciati implica un antefatto fondamentale: capire prima di tutto come volerlo guardare. Capire (e apprezzare) un’operazione così kitsch e grottesca è alla base dell’(unica) possibile fruizione del film di Julien Royal. Dal 10 febbraio su Netflix.

Ci sono film che non si nascondono dietro tanti di giri di parole. Film in cui l’obiettivo dell’intero progetto arriva dritto e orgoglioso come uno schiaffo già dai primi minuti, mettendo sin da subito le carte in tavola e affermando senza paura alcuna la morale o l’intento che c’è dietro alla creazione. L’obiettivo de Gli Spacciati, primo lungometraggio del giovane regista francese Julien Royal e disponibile dal 10 febbraio su Netflix, è quello di giocare senza freni inibitori con un certo tipo di pubblico, trovando nell’iperbole e nel kitsch il midollo spinale di una sperimentazione cinematografia dal dubbio gusto che poi tanto innovativa non è.

Se dunque si decide di guardarlo con questa lente specifica di premessa esagerata e deliberatamente grottesca Gli Spacciati può senza dubbio stimolare una visione ultraleggera e onnicomprensiva. Se al suo contrario si decide invece di collocarla negli schemi autoriali di un cinema che vuole innalzare e innalzarsi ad una riflessione più alta e aperta sul suo ruolo di rappresentazione dell’esperienza umana, beh molti perderebbero le coordinate necessarie a capire e godere (quanto possibile) del film.

Gli Spacciati: la trama

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Sta dunque al lettore (e allo spettatore) scegliere dove schierarsi. Perché Gli Spacciati è un’operazione volutamente reclinata in basso partendo da una trama che tenta di attingere al gangster movie e al poliziesco come pretesto per cucirne tutta una serie di sketch comici tra lo slapstick e il demenziale. La storia è quella di Hedi (Hedi Bouchenafa) e Cokeman (lo splendido Nassim Lyes, qui abbastanza mortificato) due spacciatori dei quartieri più remoti e meno raccomandabili di Parigi che per risollevare il loro ‘giro imprenditoriale’ di drug dealer alla deriva, si affidano al neo marito di Zlatana, sorellastra di Hedi. Arsène Van Gluten, imprenditore dolciario sulla carta e imprenditore di droga nella realtà, offre ai due l’opportunità di spacciare la Mojo Mango, un tipo di marijuana pregiata e dagli effetti immediati. Ma ovviamente l’accordo prenderà una piega inaspettata e sarà Hedi stesso a voler prendere il posto del potente cognato.

Tra deformazione grottesche dei sobborghi parigini e caricature estreme dell’umanità, Gli Spacciati trova la sua vena goliardica

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In un trip delirante di tutti gli istinti che nascono dall’ombelico in giù, Gli Spacciati deforma visi (letteralmente, con l’aiuto di un make-up prostetico e tramite primi piani vicinissimi) e realtà comunicando prevalentemente attraverso una drastica auto-caricatura della vita nelle banlieues di etnie diverse, luoghi in cui la vita arranca, i soldi spesso si fanno illegalmente e la sirena della polizia è in perenne effetto doppler. Ovviamente però, il regista di quel mondo non vuole farne alcuna indagine socio-economica. La cosa che preme di più è ridere sull’idiozia dei personaggi in campo, in un carnevale di travestimenti estremi, stampe animalier, pellicce, slip in vista, luci al neon, decòr in cui il frigorifero funge da oggetto di piacere (!), sex toys, allusioni sessuali esplicite e ovviamente droghe fumate, inalate, aspirate.

Dello svolgimento della trama infatti Royal ne fa prettamente scheletro e pretesto per deragliamenti comici, imbruttimenti di una realtà già disarmonica, riferimenti cinematografici (Scarface, La Haine), scorrettezze volute, cercate, esibite. Un carrozzone frenetico di corpi e di personaggi che entrano in campo solo per aumentare l’esponente ilare e grottesco procedendo su una narrazione che vuole (giustamente) trovare dei climax per far procedere la diegesi, ma che trova l’irrefrenabile necessità di ancorarsi ancora una volta sul potenziale comico del mal odore, del sesso estremo, delle battute scritte apposta per esagerare che parlano alla pancia, all’istino, a I Soliti Idioti che in fondo vagano in ognuno di noi. Dell’esordio di Royal alla fine rimane un cinema che comprensibilmente sceglie di non prendersi sul serio per trovare il suo unico spazio possibile, ma che rimane infondo troppo venale e circoscritto nel suo stesso ghigno ad alta voce sull’umanità. Sarà ripudiato da alcuni, sarà un goliardico divertissement per altri. Sta di fatto che l’unico modo possibile per vedere Gli Spacciati è affidato totalmente al nostro sguardo.

 

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

1.8

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