Gli ultimi giorni nel deserto: recensione del film con Ewan McGregor
A quattro anni di distanza da Albert Nobbs, il regista e sceneggiatore Rodrigo Garcià, torna sul grande schermo con un film indipendente, Gli ultimi giorni nel deserto che ha presentato al Sundance Film Festival.
Fortemente voluto dalla crew e dall’attore protagonista, Ewan McGregor, il film è stato girato con un basso budget e rischiava di non essere terminato. Gli ultimi giorni nel deserto (Last Days in the Desert) racconta l’arco di tempo narrativo in cui allo scadere dei quaranta giorni nel deserto, Gesù (Ewan McGregor), o Yeshu (come viene chiamato nel film), cerca risposte dal padre, Dio, ma trova solo domande sollevate dal diavolo, che assume le sue stesse sembianze per indurlo in tentazioni fisiche ed emotive.
Deciso a non venir meno alle sue preghiere e alla sua fede, Yeshu trova riparo in una famiglia composta da padre, madre e figlio, unici abitanti in quella porzione di deserto, ai quali offre la propria manovalanza in cambio di un tetto per la notte. La famiglia, di umili origini, sta elaborando la malattia della donna, in punto di morte, che ha allontanato padre e figlio mettendoli di fronte al loro difficile legame.
Garcìa spiega allo spettatore questo rapporto, proponendo un confronto con l’esempio di due rapporti tra padre e figlio:quelli tra Dio e Gesù e Padre Figlio. non a caso, l’uomo ed il ragazzo nel deserto non hanno un nome, o almeno non viene mai fatto presente, se non come Padre e Figlio, come spesso nella dottrina si nominano Dio e Gesù come Padre e Figlio.
Incontrato il favore di una meravigliosa fotografia cornice della storia, i rapporti umani de Gli ultimi giorni nel deserto vengono analizzati lentamente, quasi come se anche il tempo fosse in attesa di risposte, e gli unici snodi narrativi, specialmente nella prima parte del film, non aiutano a renderne più incalzante il ritmo. Col passare del tempo, però, il film acquista interesse in quanto la buona sceneggiatura entra nel meccanismo concentrato sullo studio delle dinamiche delle relazioni umane. Gesù diventa amico e confidente di Padre e Figlio, ascolta storie, sogni e desideri dei due uomini che si fidano completamente di lui. Nel mentre Gesù, continua a cercare risposte e si rende disponibile ascoltatore e consigliere, mantenendo un’umanità semplice, genuina, confrontandosi come un qualsiasi uomo nel deserto.
Questa umanità, questa figura di Gesù uomo è forse la chiave che rende riuscito questo film, semplice ma ricco di contenuti. McGregor, da sempre un ottimo attore, dà prova di quanto un personaggio così importante, dipinto come grandioso da tutto il mondo, altro non sia che il più umano e semplice degli uomini. Ogni frase, ogni domanda trasuda l’unicità propria di ogni essere vivente, ed ogni gesto, movimento, è quello di ogni uomo che cammina e vive sulla terra.
Garcìa e McGregor lavorano sul personaggio preparando questa ricerca di verità, questo bisogno di risposte: mostrano una personalità solitaria, in cerca di se stessa nella vastità di uno spazio naturale, povero ma allo stesso tempo ricco, vuoto ma pieno, lontano ma vicino ad ogni possibilità di vita che vi si voglia creare. I rapporti Dio-Gesù e Padre-Figlio avanzano paralleli, si analizzano e spiegano in un crescendo emotivo interessante e coinvolgente. D’altronde, il rapporto padre-figlio, è da sempre un ottimo materiale narrativo per il cinema, che in pochi casi è caduto nella ripetitività, incluso in questa occasione.
Gli ultimi giorni nel deserto si addentra nella vicenda umana, la più famosa e discussa, e mostra la realtà, non notata da tutti: Gesù. non solo sacrificio e amore, ma soprattutto un uomo.