Gloria! – recensione del film d’esordio di Margherita Vicario
Gloria!, l'esordio alla regia di Margherita Vicario, arriva al cinema l'11 aprile 2024 dopo il passaggio in concorso all'ultimo Festival di Berlino.
L’etichetta film d’esordio va precisata, ci sarebbe un cortometraggio del 2011 a parziale smentita; almeno per quel che riguarda la categoria lungometraggi, però, Gloria! è il debutto alla regia di Margherita Vicario, prima attrice e cantautrice e adesso, appunto, anche regista. In concorso a Berlino e nelle sale italiane dall’11 aprile 2024 per 01 Distribution, rdamma in costume, fantasia in musica dall’apprezzabile coralità, ribellione pop e femminista attorcigliata su un anacronismo bello grosso. Se c’è una cosa che a Gloria! riesce bene è di ribaltare, riscrivere e aggiustare la storia alle sue necessità, giocando con la forma senza tradirne la sostanza. Con Galatéa Bellugi, Carlotta Gamba, Veronica Lucchesi, Maria Vittoria Dallasta e Sara Mafodda; accanto, Paolo Rossi, Elio, Natalino Balasso e non solo. La storia, è insieme molto realistica e incredibilmente artefatta.
Gloria!: una musica nuova, il suono della liberazione e dell’identità
Se di anacronismo si parla quando fatti e opinioni vengono assegnati ad epoche diverse da quelle consone, ne consegue che Gloria! poggi su un anacronismo davvero colossale. La musica sognata, pensata e composta dalle giovani e battagliere protagoniste arriverà, certo, ma solo molto tempo dopo. Il presente del film è la fine del XVIII secolo, restituito con plastica e pittorica eleganza, il dove è il Sant’Ignazio, collegio musicale per educande poco fuori Venezia. In realtà Margherita Vicario, che ha scritto il film con Anita Rivaroli, nel deformare consapevolmente le sonorità dell’epoca e nell’aggiustare la sensibilità dei personaggi, sta raccontando qualcosa di molto vero. Gloria! è la storia di un gruppo di donne che, stanche di aspettare la Rivoluzione Francese, decidono di farsela da sole, in casa. C’è un doloroso fondo di verità, il numero imprecisato di musiciste il cui lavoro e la cui identità sono stati criminalmente cancellati dalla crudeltà patriarcale. Gloria! e le sue donne lottano per esprimersi, puro e semplice. Altro che anacronismo, è la faccenda insieme più vecchia e più nuova del mondo.
E se la musica è un ibrido studiato di pop e tradizione, è perché non si poteva fare altrimenti: pescare nel presente il sound più appropriato e “prestarlo” alle donne di ieri, per tirarle fuori dall’oblio. Ora, la musica che ha in testa Teresa (Galatéa Bellugi), serva muta al sant’Ignazio con un segreto nel suo passato e anche grosso, è davvero fuori dagli schemi: non la capisce nessuno. E quando comincia a sperimentare, di notte, di nascosto, sui tasti di un pianoforte, il suo stile sorpende e imbarazza le quattro ospiti del collegio con cui condivide il segreto e che si chiamano Lucia (Carlotta Gamba), Bettina (Veronica Lucchesi ma noi la conosciamo come La Rappresentante di Lista), Marietta (Maria Vittoria Dallasta) e Prudenza (Sara Mafodda). Lucia è la capofila e la musica che ha in testa lei è classica nella forma e nella sostanza. All’inizio è gelosa, vorrebbe il pianoforte tutto per sé, intuisce la portata rivoluzionaria del sound di Teresa e si spaventa. All’inzio, racconta Gloria!, la sorellanza è impedita da incomprensioni e piccole grandi guerre civili. Ma la solidarietà, cementata dal comune bisogno di affermarsi nella libertà dall’oppressione, è inevitabile.
Il nemico è l’uomo. C’è un papa ostaggio di Napoleone, Pio VII, incoronato a Venezia perché a Roma, con tutti quei francesi, non è aria. Il pontefice sta per arrivare al Sant’Ignazio per un tour celebrativo dei dintorni veneziani. In suo onore si terrà un concerto, di cui si occuperà padre Perlina (Paolo Rossi), direttore dell’istituto e compositore ufficiale. Ma padre Perlina, che pure lui ha un grosso segreto da nascondere, è agli sgoccioli. Non ha più uno straccio di idea. Le giovani protagoniste di Gloria! brillano di freschezza e vitalità, nel segno di una performance fluida, ibrida. Sono intense, convincenti. Funzionano, anche perché c’è l’altra metà del cielo a dare sostanza alla loro rivendicazioni. Gli uomini del film sono complici silenziosi (il domestico Elio), spietati aguzzini (il ricco Natalino Balasso) o, molto più semplicemente, lacerati. Come l’umanissimo padre Perlina e Paolo Rossi è davvero straordinario nel restituire verità e umanità al personaggio più importante di tutti, strategicamente parlando. Se il suo abuso patriarcale – l’indisponibilità a concedere alle ragazze di presentare la musica al pontefice – dipendesse da una caratterizzazione a due dimensioni, Gloria! si risolverebbe in un manifestino manicheo e sterile, molto ruffiano. E invece, l’umanità che il film gli riconosce ne rende meno scusabili (e più calibrate) le colpe. Lo spettatore non si inganni: le ragazze ce la faranno, a portare al mondo il loro sound. E che succede, quando si afferma la propria identità di fronte a un gruppo di bacchettoni reazionari? L’esplosione finale, la catarsi sbarazzina, è qui per rispondere.
Radicale e spettacolare, in una parola: pop
Ha ragione, Margherita Vicario. Soprattutto, sa di avere ragione. Eppure, Gloria! non è un film presuntuoso, arrogante. Radicale quello sì, ma costruito con intelligenza, perché il cuore ribelle e incendiario è temperato da una grazia, un calore e un’intelligente concessione alle necessità del cinema inteso nella sua accezione più pura. Cioè un’arte popolare e questa è una formula in cui i due termini hanno lo stesso peso e un bravo autore(trice) deve trovare il modo di farli convivere. Nel celebrare, ripescandola dall’oblio, la memoria di donne soffocate – nel talento e nelle velleità di emancipazione – dall’ottuso giogo patriarcale, Margherita Vicario non si allontana dal suo terreno. Conosce la musica, la sa governare, ne fa il centro della storia, la lingua universale che parla al pubblico ben oltre gli impacci delle parole. La musica è un intreccio di tempi e di stili.
Insieme vecchia e nuova, iconoclasta e devota alla tradizione. Classica e pop, “alta” e più vicina alla sensibilità dell’ascoltatore medio (definizione terribile) e questa sinergia è il riflesso di coerenza che infiamma il film, costruito sul compromesso (e relativo equilibrio) tra audacia e prudenza, tra spettacolo e pretesa artistica. Non è d’abitudine, per un’esordiente – certo, sappiamo che non è del tutto così – alla regia, misurarsi con una sfida di questo tipo. E non solo in relazione al tema e alla sua radicalità femminista e politica, ma anche al tipo di confezione e alle convenzioni del genere. Gloria! è una materia difficile da addomesticare, Margherita Vicario lo sa ma non si lascia intimidire: dramma in costume, musical politico e pop sotto mentite spoglie, film corale. Non era semplice gestirne le complessità, ricordando che è il primo lungometraggio e l’esperienza per forza di cose si costruirà con il tempo. Invece fila, in maniera molto soddisfacente.
Gloria! – valutazione e conclusione
Fila in maniera molto soddisfacente, perché è pop ma nei termini più corretti. Esprimendo, cioè, una leggerezza sicura di sé e per nulla presuntuosa che mescola l’alto e il basso, la semplicità e la radicalità delle posizioni; mettendo in scena un caos organizzato che sa dare conto della complessità della vita con la doverosa lucidità. Ecco, vale la pena di ripeterlo: Gloria!, il vitale e molto interessante esordio alla regia di Margherita Vicario, è un debutto coraggioso perché sa prendere l’aggettivo pop per il verso giusto. Non una patina superficiale e colorata che nasconde, annacquandone la profondità, l’incapacità di una storia di fare i conti con il suo spessore. Ma il modo di comunicare verità importanti e scomode, con semplicità e rispetto per lo spettacolo. Il cinema italiano, se ha cura di sé, dovrebbe prendere più di un appunto.