Good Boys – Quei cattivi ragazzi: recensione del film con Jacob Tremblay
Un'ottima alchimia fra i giovani protagonisti prepara la strada ad una pellicola gradevole, sul senso di appartenenza e sull'incrollabile amicizia. Good Boys – Quei Cattivi Ragazzi gode di una scrittura infallibile
Good boys – Quei cattivi ragazzi è una pellicola del 2019, scritto e diretto da Gene Stupnisky e disponibile su Sky On Demand. Si ritorna nei territori della commedia sboccata, irriverente e infarcito di volgarità, ma con un cuore percepibile durante la trattazione dei personaggi protagonisti. È la storia di tre bambini della prima media, Max (Jacob Tremblay), Lucas (Keith L.Williams) e Thor (Brady Noon): li vedremo alle prese con le prime cotte, divergenze familiari di contorno e un’avventura spericolata per ottenere il permesso per andare alla festa esclusiva di Soren (Izaac Wang), il ragazzo più popolare della scuola. Il film propone una traccia di base molto semplice; ci si concentra molto su piccoli desideri appartenenti ad una fascia d’età specifica, e attorno a questa cornice verrà delineata un’ evoluzione bizzarra degli eventi.
Good Boys – Quei cattivi ragazzi: la scuola di Seth Rogen e Evan Goldberg si fa sentire forte e chiaro
Innanzitutto, bisogna mettere in evidenza la sceneggiatura a cura di Gene Stupnisky e Lee Eisenberg: ottima gestione di un’amicizia infallibile fra tre ragazzini, che stanno maturando e devono far fronte a situazioni imbarazzanti e oltremodo bizzarre. Una giornata può bastare per seguire lo sviluppo di tre distinti personaggi, in preda agli impulsi ormonali, pronti a sfogarsi tra di loro con volgarità, gesti inconsueti e una timidezza altamente visibile. L’ingenuità di fondo riesce a caratterizzarli appieno, donando alla pellicola una patina disincantata e al passo coi tempi. Si avverte la formula e la scuola del duo Seth Rogen e Evan Goldberg (Superbad- tre menti sopra il pelo, Facciamola finita), con una scrittura apparentemente basilare e caotica, infarcita di parole sconce, ma in grado di riservarci un sottotesto emotivo di notevole spessore.
L’equilibrio viene raggiunto anche in Good boys – Quei cattivi ragazzi: è giusto poter interagire con ragazzini che tentano di compiere azioni scellerate, ma al contempo hanno bisogno di rivalutare le loro posizioni, mantenere una reputazione salda e confermare la loro relazione interpersonale. Fedeltà reciproca, sincerità e stima: tre gli elementi che verranno puntualmente depotenziati nel momento in cui la comicità grossolana prende il sopravvento. Questa risulta essere una mossa vincente per garantire alla storia un distinto grado di coinvolgimento, con delle svolte toccanti intelligentemente inserite. I Bean Bag Boys – nome del gruppo scelto dai protagonisti – hanno tutto ciò che serve per intrattenerci nel corso dei tre atti che compongono la loro crescita personale.
Good boys- Quei cattivi ragazzi: i tre interpreti sono formidabili nei panni dei Bean Bag Boys
Max, Thor e Lucas sono tre personalità talmente simili che quasi si confondono fra loro. La loro amicizia è fondata su passioni infantili e sulla voglia smisurata di evadere e rompere le regole imposte dai genitori. Il fondamento sulla quale si poggiano deve essere ristrutturato, e la regia di Gene Stupnisky si accorge della loro evoluzione. La dinamica che intercorre fra regista e tris di attori ben selezionati è necessaria per rendere le scene comiche ancora più incisive e l’atto finale riuscito e sviluppato con garbo e delicatezza. La corsa contro il tempo per entrare a far parte di una “festa del bacio” si tramuta in percorso a step per interrogarsi su cosa si vuole fare della propria vita e quali intenzioni si hanno al fine di mantenere i contatti con amici da proteggere ad ogni costo. Dietro la sfacciataggine e la carica anarchica che suggerisce il titolo, si nasconde un substrato tenero da accogliere e distribuire nel corso del racconto.
Le altre componenti dell’apparato tecnico non devono interessare ai realizzatori di Good Boys- Quei cattivi ragazzi, non con maniacale attenzione: l’importante è concentrare gli sforzi sulla chimica fra Jacob Tremblay, Keith L.Williams e Brady Noon, tre interpreti che si adattano facilmente ad una serie di folli peripezie – il primo che ci viene in mente, correre a perdifiato in popolati tratti autostradali – , cercando di rafforzare quell’aura di spensieratezza utile a mantenere i piedi per terra ed evitando di incorrere in fasi puramente demenziali. Nel complesso, il risultato è più che gradevole. Si tratta di sicuro di una visione consigliata e che vi lascerà un marcato sorriso nello scorrere dei titoli di coda.