Gramigna (Volevo una vita normale): recensione

Targato KlanMovie Production, Gramigna (Volevo una vita normale) racconta la storia vera di un ragazzo determinato a chiudere la porta in faccia alla malavita. Il film è al cinema dal 23 novembre.

Sebastiano Rizzo (già autore di Nomi e Cognomi) continua a proporre un cinema che fa a pezzi la fantasia sbattendoci in faccia la dura verità. La storia di Gramigna (Volevo una vita normale) è estrapolata da una delle tante vite distrutte unicamente per asservire il passaggio di una criminalità concepita come normalità; è la storia di chi tra essere o non essere sceglie l’ultima delle opzioni, poiché la prima porta senza discussioni a una strada fatta di illegalità e sbagli, una via forse più semplice e già spianata ma brutta e imprevedibile.

In un lento bianco e nero iniziale Rizzo riassume la vita di un ragazzo della malavita divenuto boss di spicco. Il suo volto da adulto è quello di Biagio Izzo, che si cala nelle fattezze del boss Diego, un uomo apparentemente per bene, se solo non trapelasse l’ombra del suo passato, talmente lunga e insidiosa da offuscare e danneggiare la vita dei suoi cari e in particolar modo del figlio Luigi, interpretato da un talentuoso Gianluca di Gennaro.
L’opera, che nella sua prima parte potrebbe risultare perennemente sulla riga di partenza, inizia a spiccare il volo solo dopo averci fatto percepire quasi materialmente la pesantezza di chi è costretto a vivere dietro le sbarre, obbligato a ragione a seguitare una flebile monotonia e al contempo posto davanti all’ira e al dolore di chi, pur rimanendo fuori dal carcere, ci si trova messo dentro a forza.

Muovendosi su due binari che conducono verso direzioni opposte Gramigna (Volevo una vita normale) si scinde in passato e presente grazie all’uso sapiente di flashback. Scopriamo così adagio, come in un’esplosione inaspettata ma attesa, la verità che non vuole essere scontata; la personalità che piuttosto che ricamare la certezza dell’essere preferisce non essere.
Tutta la vita di Luigi e della madre (Teresa Saponangelo) è una lotta per non diventare come loro, loro che sono parenti, amici, conoscenti, loro che cercano di corrompere il ragazzo in mille modi differenti attraverso soldi, regali e promesse e lui che con forza e caparbietà continua a rifiutare, talvolta facendosi terra bruciata.

Gramigna (Volevo una vita normale): una storia vera e per niente scontata

gramigna

Ma sarebbe errato dire che nel secondo lungometraggio di Sebastiano Rizzo ci sono solo cattivi (tra l’altro il regista come sempre si ritaglia un posto d’onore tra quest’ultimi), perché così non è. In una terra maledetta dalla malavita ci sono anche persone che non smettono di credere al bene, che sanno dirigere silenziosamente le giovani vite che gli capitano a tiro cercando di condurle verso la retta via. Alla nonna e alla madre di Luigi si affianca così il professore di educazione fisica del ragazzo, interpretato da un sempre umano Enrico Lo Verso, a cui il regista affida ancora una volta il delicato compito di insegnare la materia più difficile di tutte: la vita. Ma se proprio dobbiamo andare a fondo anche lo stesso boss Diego cerca di allontanare il figlio dalla strada che lui ha intrapreso e dalla quale non riesce a uscire fuori.

Servendosi di una fotografia nitida e immagini che sembrano ricalcare nientemeno che la realtà, Gramigna racconta una storia vera che non è solo di camorra, ma anche di pregiudizio che a va a intaccare la vita di chi vorrebbe essere se stesso senza scendere a patti con nessuno e senza dare spiegazioni. Nell’atto finale, in cui Luigi grida a squarciagola “Io non sono come mio padre” la sua voce si conficca in petto peggio di una pugnalata. In quel grido si coagula tutto il livore e la solitudine a cui è stato sottoposto per anni, tutte le colpe che ha dovuto scontare solo per essere “figlio di”, spodestato completamente dal suo io.

Gramigna (Volevo una vita normale): la forza del non essere nel film di Sebastiano Rizzo

gramigna

Un film istruttivo che, proprio come la gramigna, sa infestare lo stato d’animo di chi guarda e magari pensa che dire no alla malavita sia semplice, che rimboccarsi le maniche e prendere un’altra strada sia logico, che avere una vita normale sia deprimente. E invece no, la vita normale, quella fatta di padri e figli, quella costellata da sacrifici, è quanto di più prezioso possano desiderare ragazzi come Luigi Di Cicco. 

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.6