Gran Turismo – La storia di un sogno impossibile: recensione del film di Neill Blomkamp
Il film di Blomkamp rientra a pieno diritto tra le esperienze visive più efficaci, sorprendenti, spettacolari e memorabili degli ultimi anni di cinema. Un racconto sincero, convincente ed emotivamente riuscito sulla rincorsa dei propri sogni ed il significato profondo del legame tra padri e figli. Un film facilissimo da denigrare e per questo da difendere. Al cinema, a partire da mercoledì 20 settembre. Distribuzione a cura di Eagle Pictures.
“Tratto da una storia vera”. Quante volte nel cinema o nella serialità televisiva recente abbiamo letto questa premessa, attendendoci niente più di un accurato resoconto di fatti realmente accaduti, perciò potenzialmente interessanti, finendo per osservare, nella maggior parte dei casi, operazioni tutto sommato dimenticabili e scadenti, proprio perché prive non soltanto di coraggio ed inventiva, ma soprattutto di orgoglio, forza e sincerità. Non è questo il caso dell’ottimo Gran Turismo di Neill Blomkamp, ed ecco perché.
Dopo aver dimostrato ottime capacità autoriali con il suo memorabile esordio sci-fi di denuncia socialpolitica, District 9, seguito da un altrettanto interessante incursione nella fantascienza adulta, ancora una volta politicamente e socialmente impegnata come Elysium, Neill Blomkamp, interessante regista e sceneggiatore canadese, torna nelle sale, dopo aver sfiorato e poi perduto un chiacchieratissimo capitolo di Alien, a distanza di due anni dal minuscolo e sperimentale Demonic – figlio del periodo Covid-19 – con il suo film più commerciale e produttivamente imponente, che si rivela essere non soltanto un blockbuster ad alto tasso di spettacolarità, ma anche un commovente e sincero racconto sulla rincorsa del proprio sogno e la possibilità – o necessità – di sentirsi padri o figli, a seconda della prospettiva, al di là dei legami di sangue.
Allontanandosi seppur non totalmente dal cinema di fantascienza, Blomkamp accetta la sfida, prendendo parte ad un progetto senza alcun dubbio rischioso, complesso e potenzialmente fallimentare, in quanto prodotto d’adattamento cinematografico di uno strabiliante e storico successo videoludico come Gran Turismo, dal quale ci si sarebbe potuti aspettare tutto e niente.
Blomkamp non soltanto si limita a dirigere Gran Turismo, ma ne cura anche l’effettistica, oltreché la sceneggiatura, in compagnia di Jason Hall e Zach Baylin.
Ciò che racconta – ed è raro pensarlo – appare come un fatto di natura puramente narrativa, perciò distantissimo da una realtà precedentemente accaduta, eppure è così. La storia è quella dell’adolescente britannico Jann Mardenborough (Archie Madekwe), che un po’ casualmente e un po’ per fortunate coincidenze, altrimenti definibili come segni del destino, da esperto giocatore/pilota delle corse eSport – Gran Turismo su PlayStation – diviene pilota a tutti gli effetti, in seguito alla sua incredibile vittoria conclusiva del percorso offerto dalla GT Academy di Danny Moore (Orlando Bloom), uno dei pezzi grossi della Nissan, finendo per gareggiare sui maggiori circuiti globali, raggiungendo perfino le leggendarie 24 ore di Le Mans.
Rincorrere i sogni
Tendenzialmente un film come Gran Turismo lo avremmo potuto associare direttamente, poiché colmo dello stesso realismo folle, un po’ buffo e un po’ drammatico, alla cinematografica di un autore come Dexter Fletcher.
Non soltanto per un ragionamento di natura patriottica – come noto Fletcher è britannico – ma poiché quest’ultimo ci ha abituati sempre più, a partire dall’esilarante Eddie the Eagle – Il coraggio della follia, e poi ancora con Bohemian Rhapsody e Rocketman, a veri e propri biopic stralunati, la cui centralità risiede nella rincorsa folle e impossibile di un sogno apparentemente irraggiungibile, da parte di individui altrettanto anomali e decisamente poco credibili se messi in relazione a quell’ultima magica meta qual è il sogno.
Eppure Dexter Fletcher non c’entra niente, e Neill Blomkamp facendo sua – questo sì, appare evidente – la lezione appresa dal precedentemente citato Eddie the Eagle – Il coraggio della follia, ce la mette davvero tutta pur di giocare appieno con i toni d’incredulità e bizzarria di questa storia vera, che pur essendo profondamente radicata in un realismo attualissimo e concreto, viene spesso e volentieri fagocitata all’interno di una costruzione filmica capace di osare coi linguaggi sia dell’immaginario fantascientifico, che dell’immaginario videoludico, senza però mai snaturare la propria dimensione narrativa.
Molto difficilmente avremmo potuto aspettarci una simile direzione dal film di – e su – Gran Turismo, che pur essendo un prodotto inevitabilmente ad alto tasso di spettacolarità e dall’immersione visiva tra le più riuscite e memorabili degli ultimi anni, al pari o quasi dell’esperienza offerta dal Top Gun: Maverick di Christopher McQuarrie, sceglie ben presto di far propria quell’idea di cinema drammatico, interessata alla questione dell’impossibilità del sogno, un po’ a causa del contesto sociale al quale il protagonista appartiene, e un po’ per le dinamiche psicologiche vissute dallo stesso, sempre pronte a remare contro tra paure, sconforto, insicurezze, e privazione di legami senza alcun dubbio necessari per la riuscita di quella rincorsa tanto desiderata.
In questo senso risulta sorprendente quanto Gran Turismo ricordi in più di un momento il commovente film di Gabriele Muccino, La ricerca della felicità, soffermandosi allo stesso modo sul legame tra padri e figli, e la necessità di credere nelle proprie capacità e nei propri sogni, anche e soprattutto quando è la tua stessa famiglia, oltre al resto della società, a porsi contro.
Padri e figli
Com’era lecito attendersi però, a partire dalla presenza nel cast del sempre ottimo David Harbour, ormai specializzato in ruoli da padre, e qui nei panni del rude, ma incredibilmente affettivo e paterno ingegnere Nissan ed ex pilota da corsa, Jack Salter, Gran Turismo racconta, oltre alla rincorsa del sogno e delle proprie ambizioni, la decisiva necessità di sentirsi figli rispetto a delle figure che non siano soltanto paterne in relazione a legami di sangue, perciò di nascita e appartenenza forzata ad un determinato nucleo familiare, ma anche al di là di esso, affidate dunque alla scelta, al trovarsi e al restare nella vita di figure che abbiano realmente la capacità e il desiderio di credere in te.
Ecco perché Jann Mardenborough non impiega poi troppo tempo prima di legarsi emotivamente al suo mentore Jack Salter, mettendo da parte – seppur non escludendolo mai realmente – il suo vero padre, Steve (Djimon Hounsou), l’operaio duro e dagli ideali diametralmente opposti rispetto a quelli di Jann, che per questa ragione ha sempre guardato con sdegno il figlio, tentando perfino di arrestarne la corsa.
Mutando perciò un celebre passaggio da romanzo di Stephen King risulta decisivo riflettere su quanto “guidare sia un’operazione solitaria e avere qualcuno che creda in te faccia una grande differenza”.
Gran Turismo – La storia di un sogno impossibile: valutazione e conclusione
Gran Turismo, così come accaduto a moltissimi altri blockbuster degli ultimi anni di cinema, appare come un prodotto estremamente semplice da stroncare, a causa di una sempre immediata e inevitabile incapacità da parte di una certa critica, d’intravedere se non addirittura rilevare in esso, non soltanto buoni sentimenti e sincerità autoriale, ma anche e soprattutto indiscutibili meriti qualitativi, a partire da una regia elettrizzante ed innovativa, una scrittura matura ed efficaci, fino ad un insieme di interpretazioni di ottimo livello ed una colonna sonora di Lorne Balfe che molto difficilmente smetteremo di voler riascoltare anche una volta giunti a conclusione del film. Notevole!
Gran Turismo è al cinema a partire da mercoledì 20 settembre. Distribuzione a cura di Eagle Pictures.