Guida alla famiglia perfetta: recensione del film Netflix di Ricardo Trogi

Non riuscendo a bilanciare armoniosamente toni ironici e drammatici, Guida alla famiglia perfetta è un mediocre tentativo di fotografare il complesso rapporto tra padri esigenti e figli infelici nell’era schiacciante delle performance al top a tutti i costi. Dal Quebec, dal 14 luglio su Netflix.

In Italia diremmo perfetti “come la famiglia del mulino bianco”, in Quebec, ma solo sulla facciata, “come quella di Martin”. Doppiamente padre e due volte marito, il papà al centro del film di Trogi Guida alla famiglia perfetta è un ultra quarantenne dalle mille pretese, tra vincoli moderni da prestazioni lavorative sempre al top, e continui dubbi sulla effettiva riuscita parentale al passo coi tempi, spulciando sui libri di auto-aiuto consigli e indicazioni ‘corretti’ sul come comportarsi con la prole del duemila.

Guida alla famiglia perfetta: attriti parentali e fardelli da prestazione

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Se con il minore c’è da preoccuparsi delle fibre giornaliere da assumere e dei difetti di pronuncia da modificare, è con la diciassettenne Rose (Emilie Bierre) che il castello di apparente compiutezza crolla inesorabilmente: si scopre che lei a scuola bara, vende e prende ansiolitici, è infelice e si affaccia alla depressione. Inizia allora un tentativo di messa in discussione della genitorialità sua e della ex moglie e madre a distanza di Rose, una hippie col pallino per l’adolescenza infinita e la permissività, che con la figlia condivide una sorta di relazione amicale à la Gilmore Girls, ma senza il vivere sotto lo stesso tetto.

Il pater familas in crisi interpretato da Louis Morissette, (che il film lo scrive pure assieme a François Avard e a Jean-François Léger), tenta prima le sedute dallo psicologo e allora il tutto e per tutto: un week-end lontano dagli ingombri, a spasso fra la natura e le memorie d’infanzia, a cercare di ricucire un rapporto fragile quanto complesso, fondato con graduale dolore su aspettative da non deludere, ‘sordità’ reciproca e affetto mal recapitato. Ovviamente un sabato al lago non funziona, anzi. Il climax del disagio e del mal de vivre di Rose precipita in velocità e solo quando la tragedia è dietro l’angolo, ecco che allora è tutto più chiaro.

Non essere all’altezza

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Sembra un dramma ma lo è solo a sprazzi Guida alla famiglia perfetta, ultimo film del regista quebecchese Ricardo Trogi che, dopo la trilogia memoriale 1981, 1987 e 1991, stavolta ha qualcosa da dire ai genitori più che ai figli; alla società più che agli insegnanti, ma alla fine non dice nulla e a nessuno. L’idea di rimescolare le carte sulla difficile prestazione genitoriale dell’era degli hashtag e della pretesa tutta medio-borghese rivolta in special modo alle figlie di non “finire a fare l’estetista” dopo i sacrifici finanziari, rimane appunto solo presupposto diegetico, e la consistenza narrativa richiesta in temi universali e condivisibili come quelli scelti in sceneggiatura, finisce per racchiudersi in un’indagine scarna e semplicistica sulla tortuosa relazione padri-figli.

Muovendosi nel fangoso triplo terreno del dramma a sfondo familiare, del semi coming-of-age e della commedia intenta a sferrare sarcasmo e ironia sulle performance a misura d’adulto riversate sui bambini di oggi, il film non approda in alcuna conclusione risolutiva né tra figlia Rose e papà Martin, né nei diverbi generazionali sull’educazione parentale, men che meno cinematograficamente, colmando mancanza di idee e vuoti di scrittura con montaggi in ralenti dall’intento melenso e non affatto utili alla costruzione della profondità emotiva dei personaggi a cui va ad accostarsi.

Mediocrità e il doverla accettare

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In Guida alla famiglia perfetta la compassione non si prova solo per la povera Rose, in balia a due genitori inadeguati e un’età turbolenta, ma per il film tutto, che infondo sembra avere qualcosa da dire ma senza averne gli strumenti. Essere genitore è un mestiere impervio e colmo di errori, sofferto e poi appagante, euforico e poi amaro, complesso e rigonfio di sfumature e incidenti di percorso. Elementi a cui Trogi non sembra intento a donare la giusta attenzione, riponendo, come fa Martin su Rose e il minore, troppe aspettative per un film/figlio che si rivelerà mediocre; e la cui modestia dovrà – certamente con senso di sconfitta – prima o poi essere accettata.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2
Emozione - 1.5

2.1