Gun Shy – Eroe per caso: recensione del film con Antonio Banderas
Turk Landry, ex bassista della popolare band heavy metal Metal Assassin, accompagna la partner Sheila a Santiago del Cile, sua città natale. Una normalissima vacanza, ma l'imprevisto è dietro l'angolo...
La missione più difficile, per un attore affermato e possibilmente over 50, è quella di reinventare ad un certo punto la propria carriera. C’è chi rimane granitico sulle proprie posizioni (Sylvester Stallone), chi fatica a trovare la quadra della propria rinascita (John Travolta), chi si reinventa last action hero tutto d’un pezzo (Liam Neeson). In generale, meglio buttarsi nell’action, genere per il quale non è del tutto necessario possedere grande ispirazione o grande talento; per chi invece tenta il salto verso la commedia, il rischio fallimento (o patetismo) è altissimo.
Antonio Banderas possiede una sua naturale vis comica, è vero, l’ha portata in scena coi Mercenari e ha funzionato. E in questi ultimi anni – ferma restando la sua eterna collaborazione con Pedro Almodóvar – ha diversificato molto: dal fantascientifico Automata al thriller Security, fino alla comedy Gun Shy – Eroe per caso. Tutti o quasi prodotti low budget da cestone dei dvd in sconto, straight-to-video misteriosi di cui nessuno o quasi ha sentito parlare. Lavori a volte semplicemente buffi e altre volte più apertamente indifendibili.
Gun Shy – Eroe per caso: Storia di una rockstar in declino
Ci sono un attore spagnolo, un’attrice russa, un regista britannico e un’ambientazione esotica: sembra l’inizio di una barzelletta, e un po’ lo è: Gun Shy di Simon West (Con Air, Lara Croft: Tomb Raider) pigia fortissimo sull’acceleratore della demenzialità, dichiarando in ogni sequenza e in ogni svolta la sua totale superficialità di toni e contenuti. La storia narra di un ex rocker idolatrato ma dimenticato ormai da tutti e della sua compagna (la bond girl Olga Kurylenko), che durante un viaggio verso il Cile – terra d’origine di lui – incappano in un gruppo di pirati.
Stupisce leggere che la sceneggiatura sia tratta addirittura da un romanzo, Salty (che è stato anche il titolo di lavorazione di Gun Shy) di Mark Haskell Smith, vista l’estrema vacuità della pellicola. Non è questa una condanna nei confronti del sottogenere comico, anzi: il problema semmai è che tutta la vicenda non funziona, neanche secondo i più elementari standard di intrattenimento. È un tentativo abbastanza innaturale e forzato, che in qualche bizzarro modo riesce a sembrare sia stridulamente sopra le righe che dolorosamente noioso.
Le ragioni della comicità
Non possiamo tuttavia darne la colpa agli attori, che si sforzano di trasformarsi in caricature dei cartoni animati in un disperato (e in gran parte infruttuoso) tentativo di far credere agli spettatori di essere di fronte a qualcosa di estremamente divertente. Per quanto sfondi più volte i confini dell’imbarazzo, Banderas cerca in ogni modo di incarnare al meglio delle proprie possibilità la figura della star edonista, egocentrica e indolente; e piace anche il modo in cui i caratteristi ce la mettano tutta per rendere credibili i loro personaggi dell’agente maschilista (Jesse Johnson) e dell’ambizioso tirapiedi del governo americano (Mark Valley).
Tuttavia, il fatto che lo script di Gun Shy fosse rimasto per anni sugli scaffali di Hollywood prima di essere rispolverato solo in virtù di un crowdfunding da 1.9 milioni di dollari sulla piattaforma SyndicateRoom (ci piacerebbe approfondire la questione: perché la scelta è ricaduta proprio su questo progetto?!) dice molto sulla qualità generale dell’opera e sulle sue – inesistenti – pretese. Avrebbe voluto essere una commedia facile e facilona, colorata e leggera. Ma, visto che con la comicità non si scherza e i confini sono labili, il risultato è una farsa stridula, posticcia e ad alto tasso di stupidità.