Hard Days: recensione dell’acton-thriller Netflix
La recensione del remake giapponese che Michihito Fujii ha realizzato dell’action-thriller sudcoreano A Hard Day di Kim Sung-hoon. Dal 30 novembre 2023 su Netflix.
Non molto tempo fa sempre su queste pagine vi avevamo parlato di Testimone misterioso, il poco convincente remake francese che Régis Blondeau ha realizzato dell’action-thriller sudcoreano A Hard Day di Kim Sung-hoon. L’esito come avrete avuto modo di leggere nella recensione da noi pubblicata in occasione del rilascio su Netflix lo scorso 25 febbraio è stato piuttosto disastroso per quello che in realtà risulta essere il secondo rifacimento del film del 2014. Prima ancora, infatti, a rimettere le mani sull’originale ci aveva pensato il filippino Lawrence Fajardo che nel 2021 aveva riportato sullo schermo senza infamia e senza lode il film del collega coreano. Ma come se non bastasse dal 30 novembre 2023 sulla piattaforma statunitense è arrivato anche il terzo remake, stavolta recante la firma del giapponese Michihito Fujii che ancora con la complicità del broadcaster a stelle e strisce riesce a far rimpiangere l’originale.
Hard Days è null’altro che una fotocopia made in Japan che si limita a trascinare sviluppi, scene e personaggi dalle strade di Seoul a quelle di Tokyo
Viene allora da chiedersi il perché di una simile operazione, quale machiavellica strategia possa nascondersi dietro il bisogno di realizzare tre adattamenti (di cui due prodotti nel continente asiatico) nel giro di altrettanti anni di un film che tra l’altro aveva a suo tempo detto e mostrato già tutte le sue indubbie qualità. Una spiegazione purtroppo non l’abbiamo, anche se il buon senso e la logica suggeriscono che dietro l’esigenza di realizzare un remake vi siano rispettivamente il tentativo di dare una nuova veste alla matrice apportando delle modifiche strutturali, proponendo delle varianti e in ultimo attualizzarla. Qui invece pensiamo che alla base dell’operato di Fujii, così come del suo predecessore europeo vi sia semplicemente il bisogno, a fronte di una siccità di idee e di storie, di creare un nuovo contenuto da consegnare agli abbonati di una piattaforma e nulla di più. Altrimenti davvero non si spiega il senso di produrre l’ennesimo remake così a stretto giro, rifacendolo praticamente identico all’originale se non fosse per il solo spostamento dell’azione in una diversa area geografica. Eppure è ciò che è successo con Hard Days, null’altro che una fotocopia made in Japan che si limita a trascinare sviluppi, scene (tra cui quella divenuta ormai un cult dell’obitorio) e personaggi dalle strade di Seoul a quelle di Tokyo. Tuttavia questa nuova versione riesce quantomeno a fare meglio sia di quella filippina, uscita due anni fa portando il medesimo titolo del prototipo, che di quella transalpina. Magra consolazione.
Odissea metropolitana e corsa contro il tempo
Siamo così ancora alle prese con l’odissea metropolitana e la corsa contro il tempo di un poliziotto disperato e pieno di problemi al quale nel giro di pochissimi minuti, quelli che accompagnano il prologo della pellicola nipponica, accade di tutto e di più. Si tratta del punto d’innesco di una reazione a catena che avrà inizio nella notte del 29 dicembre, quando il detective Yuji Kudo si trova al volante della sua auto, intento a raggiungere l’ospedale per far visita alla madre in gravi condizioni di salute. Inaspettatamente l’uomo riceve una telefonata dal suo superiore che lo informa di come gli affari interni stiano indagando su un presunto giro di corruzione che coinvolge il suo dipartimento e nel quale anche lo stesso Yuki è coinvolto; scopre così che sarà proprio lui il capro espiatorio. Un istante più tardi il cellulare squilla di nuovo: è l’ospedale, che lo informa della morte della madre. In preda al dolore e allo stress, il protagonista investe accidentalmente una persona che aveva attraversato la strada di corsa e invece di denunciare il fatto alle autorità nasconde il cadavere nel bagagliaio. Pensa di essere riuscito a scamparla, peccato per lui che ci sia un testimone che ha il suo numero e che inizierà da lì a poco a minacciarlo.
Michihito Fujii porta a casa un prodotto di genere di puro intrattenimento che dal tesissimo incipit al cardiopalma in poi mantiene comunque un ritmo sostenuto e coinvolgente
Chi ha avuto modo di vedere A Hard Day e i successivi remake sa già quindi come andrà a finire e quale destino attende il protagonista, qui interpretato con sufficiente carisma e convinzione da Nobi Nakanishi. In caso contrario non vogliamo rovinare la festa a nessuno per cui sorvoliamo sugli accadimenti. Quello che possiamo dire è che Michihito Fujii, da regista di comprovata esperienza nel settore e da buon mestierante qual è, riesce a portare a casa un prodotto di genere di puro intrattenimento che dal tesissimo incipit al cardiopalma in poi mantiene comunque un ritmo sostenuto e coinvolgente. Ma come sappiamo non è tutta farina del suo sacco, almeno non lo è narrativamente e drammaturgicamente parlando nel momento in cui ha ereditato tutto dal collega Kim Sung-hoon, compresa quella doppia resa dei conti finale che vede i due antagonisti sfidarsi in una lotta all’ultimo sangue. Il regista giapponese si limita quindi a rimettere in quadro con una discreta varietà di soluzioni tecniche l’intero pacchetto, facendo sicuramente meglio di coloro che prima di lui hanno tentato di clonare e migliorare il prototipo. Speriamo con tutto il cuore che non ve ne siano altri in futuro, anche se Perfetti sconosciuti con i suoi 25 remake al seguito ci ha insegnato che tutto è possibile.
Hard Days: valutazione e conclusione
Terzo remake nel giro di altrettanti anni per l’action-thriller sudcoreano A Hard Day di Kim Sung-hoon. Come i precedenti tentativi anche quello del giapponese finisce nel pentolone della minestra riscaldata, nel quale non si registra, al di fuori di uno spostamento geografico, nessun cambiamento sostanziale degno di nota sul fronte narrativo e drammaturgico. Motivo per cui l’analisi critica non si può estendere alla scrittura, semmai si può puntare sulla confezione e sul contributo davanti la macchina da presa di Nobi Nakanishi nei panni del protagonista. In entrambi i casi il regista Michihito Fujii e l’attore connazionale fanno il loro dovere timbrando il cartellino. L’esito è sicuramente migliore delle versioni filippine e francesi, anche se il divario con l’originale resta ancora molto grande.