Hasta el cielo: recensione del film Netflix con Miguel Herrán
La recensione dell’action-thriller spagnolo diretto da Daniel Calparsoro con Miguel Herrán e Luis Tosar, che dopo l’apparizione alla Festa del Cinema di Roma 2020 approda su Netflix a partire dal 2 aprile.
Non c’è mese che il catalogo di Netflix non si arricchisca di titoli battenti bandiera spagnola, riprova di quanto il broadcaster a stelle e strisce, sulla spinta del feedback più che positivo ricevuto dai propri abbonati, stia puntando forte sulla serialità e sul cinema iberico. Per quanto concerne le uscite di aprile, tra le pellicole rilasciate sulla piattaforma figura Hasta el cielo, l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Daniel Calparsoro, che il pubblico nostrano aveva potuto vedere in anteprima in occasione della presentazione nella sezione “Riflessi” della Festa del Cinema di Roma 2020.
Hasta el cielo è basato su fatti realmente accaduti, ma con personaggi inventati
Ispirato e basato su eventi realmente accaduti, ma con personaggi totalmente inventati dallo sceneggiatore Jorge Guerricaechevarría, il film ci scaraventa al seguito di Àngel (interpretato da Miguel Herrán), un giovane meccanico che intenzionato a uscire dall’anonimato di un’esistenza al margine della Società inizia a sognare in grande quando si unisce a una banda di rapinatori che tiene in scacco la polizia di Madrid. Grazie alle sua abilità da ladro riesce a farsi strada nella malavita fino a divenire il protetto di uno dei padroni del mercato nero della città, mettendosi contro un altro boss locale al quale contenderà non solo la piazza ma anche la donna, la bella e conturbante Estrella. Ma tutto ha un prezzo e la sfrenata ambizione lo poterà a dover scegliere tra il suo futuro nella banda e l’amore per la co-protagonista.
Più in alto si vuole arrivare, più rovinosa sarà la caduta
Insomma, non ci vuole molto a capire quali siano le traiettorie narrative e drammaturgiche di quello che si presenta già sulla carta come il classico romanzo criminale con tanto di personaggio principale alle prese con il tentativo di scalata ai vertici della piramide malavitosa. In tal senso, il titolo Hasta el cielo è già di suo una chiara lettera d’intenti che lascia presagire gli sviluppi e quali sia la mission del protagonista, ossia quella di salire sempre più in alto fino a toccare il cielo con un dito, quel tanto da consentirgli di fare la “bella vita” e di guardare la gente dai piani di un grattacielo. E così sarà, almeno fino a quando la polizia e la malavita stessa glielo permetteranno. Del resto la storia delle epopee criminali ci insegna che più in alto vuoi arrivare, più rovinosa sarà la caduta. Una parabola universale, simile a quella di milioni di altre biografie criminali raccontante sul piccolo e sul grande schermo, ma ancora prima dalla letteratura di genere. Quella di Àngel è piuttosto comune e passa attraverso una escalation di rapine, soldi sporchi e losche imprese, con tutto il campionario di personaggi stereotipati e monocorde che si è soliti incontrare nel gangster movie e nell’heist movie: dal boss senza scrupoli all’instancabile detective, dall’avvocato corrotto ai rapinatori di banche e alla femme fatale contesa. Motivo per cui il destino del protagonista, di coloro che lo affiancano o lo contrastano, ma più in generale della storia nella sua interezza, sono già scritti.
Le scariche di adrenalina in Hasta el cielo arrivano dalla componente action
Questo fa di Hasta el cielo un film prevedibile, che si trascina inutilmente oltre le due ore per raccontare una vicenda che ha il gusto inconfondibile del già visto. Per cui non c’è da aspettarsi colpi a sorpresa, piuttosto una concatenazione di eventi telefonati che portano diritti al punto di non ritorno. Semmai i sussulti arrivano dalla componente action, con una manciata di scene che disseminate lungo la timeline offrono qualche scarica di adrenalina al fruitore, soprattutto quando Àngel e la sua banda passano dalle parole ai fatti svaligiando la profumeria, la gioielleria, la concessionaria di auto e il portavalori sul traghetto. Il coefficiente di difficoltà e i rischi dei colpi, così come le fughe e gli inseguimenti, crescono esponenzialmente e di riflesso la componente spettacolare della messa in quadro. Ed è qui che Calparsoro e la sua crew danno il meglio.