Haunting – Presenze: recensione del film con Catherine Zeta-Jones
La recensione di Haunting - Presenze, un film iconico per molte generazioni che scardina la pericolosità di una premessa narrativa piuttosto inquietante.
Entrato a far parte fin da subito dei film di culto dei pomeriggi televisivi, Haunting – Presenze è un tassello della ristretta filmografia di Jan de Bont, regista olandese già dietro alla realizzazione di film iconici per intere generazioni quali Twister e, in seguito, Tomb Raider. Ispirato a grandi linee al romanzo di Shirley Jackson L’incubo di Hill House (che ha recentemente dato vita a un’acclamata serie TV Netflix), Haunting – Presenze è anche una nuova versione di Gli invasati (Robert Wise, 1963): la trama, in ogni caso, resta più o meno invariata. Un ricercatore, il Dottor Marrow, è particolarmente interessato sia ai fenomeni paranormali rilevati a Hill House, che alla relazione tra paura e insonnia. Con intenti non troppo cristallini, il professore rinchiude tre ragazzi nella magione, lasciandoli di fatto in balia dei fantasmi padroni di casa, i quali non si dimostreranno affatto degli ospiti accoglienti.
Haunting – Presenze propone nuovamente il tema del rapporto tra curiosità scientifica e etica antropologica, anche se non in modo centrato come succedeva in Twister con i suoi cacciatori di tornado sprezzanti di ogni possibile rischio. Questa volta, nelle intenzioni del Dottor Marrow il dato scientifico assume una posizione dominante anche sulla sua stessa persona, tanto da portarlo a calpestare l’etica e ad architettare un piano che lo lasci in salvo nella posizione di spettatore mentre i tre ragazzi fungono da cavie per i suoi esperimenti.
Haunting – Presenze: è un horror innocuo senza riflessioni esistenziali
In realtà, nonostante le premesse a dir poco inquietanti, i toni del film restano piuttosto pacati dal punto di vista della potenziale efferatezza del piano: tutto resta in sordina, la storia mantiene distanza dal pubblico e una certa pacatezza nella rappresentazione della storia. Liam Neeson nei panni del subdolo professore dà prova di saper donare al personaggio qualche sfumatura in più, mettendolo anche in relazione con gli altri ruoli ricoperti dall’attore nelle pietre miliari della sua carriera. Anche Catherine Zeta-Jones fa sentire la sua presenza da un punto di vista recitativo, elevando un personaggio (e un racconto) molto retorico dal rischio di piattezza, coadiuvata dagli altri due interpreti dei ragazzi intrappolati, Owen Wilson e Lily Taylor. A livello di cast la mancanza che pesa di più sulla resa finale è una sorta di istinto da solista, che porta gli attori a restare piuttosto isolati dal resto del cast nella loro interpretazione, mancando di restituire il presumibile senso di sopravvivenza di gruppo.
Il risultato finale di Haunting – Presenze risulta essere piuttosto innocuo da molti punti di vista, anche se riesce a mantenere un ritmo fluido e costante, tale da apparire avvincente agli occhi del pubblico senza rendersi pesante con sottese riflessioni esistenziali. Questo aspetto lo ha reso un film ideale per i cataloghi televisivi (e non solo), proprio grazie a questa sua leggerezza nell’affrontare premesse diegetiche piuttosto pesanti. Il film ha anche ottenuto critiche contrastanti, così come le sue candidature in diverse occasioni: si oscilla infatti tra le candidature ai Razzie Award come Peggior film e come Peggior attrice protagonista (e molti altre categorie), alle candidature come Miglior Attore e Miglior Attrice in un film horror ai Blockbuster Entertainment Award, fino al premio come Miglior colonna sonora a Jerry Goldsmith in occasione del BMI Film & Tv Award.
La versione di Haunting – Presenze firmata da Jan de Bont probabilmente è quello che sembra, vale a dire un ripiego artistico e narrativo rispetto al progetto iniziale, che vedeva compiersi una collaborazione tra Stephen King alla sceneggiatura e Steven Spielberg alla regia (quest’ultimo ha anche preso parte alla produzione del film, pur non venendo citato tra quelli ufficiali).