Havoc: recensione del film Netflix con Tom Hardy

La recensione dello spettacolare e adrenalinico hard-boiled di Gareth Evans con un Tom Hardy in grandissima forma. Dal 25 aprile 2025 su Netflix.

Tra i titoli in uscita su Netflix durante il lungo ponte Pasquale, Havoc era sicuramente uno dei più attesi dagli abbonati e non solo della piattaforma a stelle e strisce che ha scelto il 25 aprile 2025, Festa della Liberazione, come data per il suo rilascio. Basterebbe la combo formata da Gareth Evans e Tom Hardy, coinvolti rispettivamente dietro e davanti la macchina da presa, a spiegarne il motivo, con la suddetta collaborazione che già sulla carta garantiva al film in questione un biglietto da visita niente male e tante scintille. E così è stato, perché al netto di carenze strutturali e di originalità tanto in un plot ridotto all’asso quanto nei suoi sviluppi che lo rendono prevedibile e stereotipato, il risultato sul piano tecnico e visivo al contrario mette a segno un bel colpo. L’adrenalina in tal senso scorre a fiumi e viene iniettata nelle vene e nelle pupille dello spettatore in dosi massicce, con il livello di coinvolgimento che raggiunge di conseguenza picchi febbrili.

Con Havoc, Gareth Evans è tornato finalmente ai fasti cinematografici degli esordi in terra asiatica con un mix esplosivo di poliziottesco, hard-boiled e neo-noir

Havoc; cinematographe.it

Dopo la più che soddisfacente parentesi seriale di Gangs of London e quella non brillante per lo streaming del thriller soprannaturale Apostolo, con Havoc il cineasta gallese è tornato finalmente ai fasti cinematografici degli esordi in terra asiatica avuti con Merantau e i due capitoli di The Raid. Lo ha fatto portando sullo schermo un mix esplosivo di poliziottesco, hard-boiled e neo-noir dove la componente action, balistica e marziale riemerge prepotentemente con tutta la sua carica cinetica, impattante e spettacolare. Ad aiutarlo però non c’è l’indonesiano e amico di vecchia data Iko Uwais, bensì il britannico Hardy che per l’occasione ha svestito i viscidi panni di Venom per indossare quelli umani ma altrettanto scomodi di un detective in rovina e con un matrimonio a pezzi alle spalle, che, dopo il fallimento di un caso legato al traffico di droga, deve introdursi all’interno del mondo criminale per una nuova indagine. L’uomo, infatti, viene incaricato di salvare il figlio di un politico, ma mentre cerca di muoversi tra le file della malavita locale, che nel caso di Evans non poteva non essere rappresentata dalle triadi, scopre che l’intera città è sotto il gioco di un fitta rete di corruzione.

La sceneggiatura di Havoc si aggrappa con le unghie e i denti ai cliché e agli stilemi dei generi chiamati in causa, puntando più sulla forma che sui contenuti

Havoc cinematographe.it

A fare da cornice alla vicenda una tentacolare e oscura Los Angeles, filtrata dal direttore della fotografia Matt Flannery attraverso una lente stilistica che ricorda l’estetica vivida e contrastata delle graphic novel, squarciata e illuminata dai neon acidi di Nicolas Winding Refn (tona alla mente Solo Dio perdona). Una giusta atmosfera, questa, per un racconto che, come accennato in precedenza, non funge da sfondo a una narrazione e una drammaturgia che non è esattamente un modello di innovazione, poiché per esigenze e per pigrizia nella fase di scrittura preferisce aggrapparsi con le unghie e i denti ai cliché e agli stilemi dei generi in questione per dare molta forma e poca sostanza alla timeline. Si assiste di conseguenza alla messa in quadro di una sceneggiatura che nelle prime pagine cattura immediatamente l’attenzione per poi decidere di allentare la presa e seguire un percorso più lineare e basilare, nel quale ci si imbatte in dinamiche, situazioni e risoluzioni che provocano alla vista l’inconfondibile sensazione di déjà-vu.

Havoc è un concentrato di azione allo stato puro che fa della messa in scena, della regia iper-cinetica, del montaggio frenetico, i suoi punti di forza. Le scene d’azione da sole valgono il prezzo del biglietto

Havoc cinematographe.it

Sono queste le regole del gioco e d’ingaggio alle quali bisogna sottostare e accettare per entrare in sintonia con un film che fa della messa in scena, della regia, del montaggio frenetico, gli ingredienti principali e fondamentali della ricetta. Ma è un qualcosa che gli si riesce a perdonare, non fosse altro per la capacità del regista di Hirwaun che ha di appassionare e travolgere lo spettatore con uno tsunami di corpi e arti in perenne movimento, lame, armi, sangue e grida. Una ricetta che Evans ha preso in prestito da John Woo, Walter Hill e Sam Peckinpah, fatto sua e personalizzata introducendo nel campionario action occidentale l’arte marziale indonesiana del pencak silat con le evoluzioni, le coreografie e le scene di combattimento che noi tutti conosciamo. Lo show è quindi garantito, con Evans che porta sullo schermo una sequela di scene che come accaduto già nei due The Raid distraggono chi guarda dalle mancanze della scrittura. Queste sono sufficienti per quanto ci riguarda a pagare il prezzo mensile dell’abbonamento, con l’autore che mette il suo marchio di fabbrica su ciascuna di esse. Ecco allora che ogniqualvolta dalle parole si passa ai fatti l’asticella si alza prepotentemente passando dall’inseguimento in auto iniziale alla virtuosistica sparatoria con annesso combattimento all’arma bianca in discoteca che segna il giro di boa del film e fa da antipasto alla carneficina finale.

Havoc: valutazione e conclusione    

Havoc cinematographe.it

Con Havoc, Gareth Evans torna agli albori del suo cinema, restituendoci quel regista capace di regalare scariche di adrenalina e scene d’azione e coreografie spettacolari di grandissimo impatto. Quando dalle parole si passa ai fatti il film sale di quota, con sequenze balistiche e marziali che offrono uno show di altissimo livello, distraendo lo spettatore da quelle che sono le mancanze di una scrittura pigra, stereotipata e dipendente dagli stilemi dei generi chiamati in causa, ossia il poliziottesco, l’hard-boiled e il neo-noir. Complici gli storici collaboratori del cineasta gallese e un Tom Hardy alle prese con una performance muscolare che lo impegna fisicamente e poco cerebralmente. Ma alla fine il risultato vale il prezzo del biglietto.       

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.7