Hellhole: recensione dell’horror demoniaco di Netflix
Il film risulta particolarmente efficace grazie alla scelta del suo autore di scostarsi dai percorsi comuni dell'horror demoniaco, per esplorare sentieri meno battuti e più oscuri.
Hellhole (noto anche con il titolo Buco infernale)è il nuovo film horror diretto da Bartosz M. Kowalski e scritto da quest’ultimo insieme a Mirella Zaradkiewicz. I due autori, entrambi di nazionalità polacca, hanno già collaborato per la realizzazione del film in due parti Non dormire nel bosco stanotte. La loro ultima produzione, di cui parliamo in questo articolo, è stata distribuita in Italia tramite Netflix, dove è stato reso disponibile on demand a partire dallo scorso 26 ottobre 2022.
La produzione della pellicola è stata curata da Akson Studio, azienda con sede in Polonia che ha collaborato con Kowalski e Zaradkiewicz proprio per Non dormire nel bosco stanotte. Il cast è composto interamente da attori locali ed è capitanato da Piotr Zurawski (Io sono Mateusz, Wataha) e Olaf Lubaszenko (Non desiderare la donna d’altri, L’ultimo treno).
Hellhole: un mistero che cela l’inferno
Nella prima sequenza di Hellhole , che ha luogo negli anni ’50, assistiamo al tentativo di omicidio di un bambino in fasce da parte di un anziano prete. Il delitto è sventato dall’intervento della polizia, che per salvare il neonato uccide il prelato. Dopo di che, la storia si sposta in avanti di 30 anni e facciamo la conoscenza con il protagonista: Marek (interpretato da Piotr Zurawski), un giovane prete.
Marek si reca presso un monastero particolarmente isolato, per entrare a far parte del gruppo di esorcisti che vivono nella struttura. Questa, oltre ai monaci, ospita alcuni individui ritenuti vittima di possessione, che sono trattati alla stregua di carcerati. La gestione della struttura è curata dal priore Andrzej (Olaf Lubaszenko), che fa subito capire al nuovo arrivato come il rispetto dalla rigorosa regola dell’ordine sia assolutamente indiscutibile.
Fin dai primi giorni di permanenza, è chiaro che le intenzioni che hanno portato Marek in quel luogo siano diverse da quelle dichiarate al priore. Questo inizia infatti quasi immediatamente a guardarsi intorno e a esplorare la struttura, stando attento a non farsi notare dai suoi confratelli. Quello che finisce per scoprire è però assai diverso da qualsiasi aspettativa potesse avere formulato.
L’orrore che non ti aspetti
Hellhole si caratterizza innanzi tutto per la volontà di Kowalski e Zaradkiewicz di prendere le distanze dall’andamento del tipico film horror sugli esorcismi. Nell’atto iniziale, con una interessante operazione narrativa la pellicola smantella la prima manifestazione dell’orrore e costruisce sopra a questa demistificazione un nuovo apparato del terrore, più misterioso e originale, capace di andare oltre ai cliché del sottogenere.
A contribuire alla costante tensione, elemento che eleva notevolmente il film, è l’utilizzo di elementi tipici del thriller investigativo. Mentre il sovrannaturale si fa sempre più manifesto, il protagonista deve trovare il modo per portare avanti la sua personale indagine, che lo porta a scoprire un’aspetto assolutamente terreno della minaccia. Tramite questa sovrapposizione, l’autore riesce a ammantare di incertezza la vicenda, i cui risvolti continuano a sorprendere sino alla fase centrale.
A riprova del buon livello della scrittura, l’atto conclusivo ci riserva un altro importante colpo di svena, che di nuovo va a negare quello che è l’usuale sviluppo di questo tipo di pellicola. Senza avere paura di deludere, Hellhole sceglie di portare lo spettatore in lidi inesplorati. Per farlo sacrifica in parte l’elemento di paura, che scema con il passare dei minuti, a favore di una maggiore sperimentazione visiva. Questa arriva al suo culmine nell’inatteso e suggestivo finale, che sorprende in positivo e sugella la buona riuscita dell’operazione.
Un oscuro monastero
Non meno importante per la riuscita di Hellohole è il contributo fornito dal reparto tecnico. Particolarmente positivo è il lavoro del direttore della fotografia Cezary Stolecki (All My Friends Are Dead), che utilizza le ombre e la luce fredda per definire i contorni delle strutture e costruire intorno alla vicenda un’ambiente inquietante e suggestivo. La messa in scena del regista si adatta a questo approccio e, grazie all’ampio uso di campi medi e lunghi, è in grado di esporre i misteriosi dettagli che infestano gli spazi del monastero.
Il lavoro combinato di queste maestranze rende la struttura in cui i fatti hanno luogo un elemento attivo. All’interno dell’impianto estetico, sia la natura che gli elementi architettonici assumono un connotato minaccioso e, ogni volta che la macchina da presa si muove, ci si aspetta di vedere apparire un nuovo tenebroso indizio dell’orrore che essi celano. Meno memorabile, ma comunque funzionale al processo è la colonna sonora curata da Carl-Johan Sevedag (Borg McEnroe, Life: Non oltrepassare il limite).
Infine, anche gli effetti speciali, sempre importantissimi per un film horror, sono ben realizzati, anche se per la maggior parte della sua estensione la pellicola non ne fa ampio uso, se non per alcuni passaggi splatter comunque piuttosto realistici. Puntando sull’elemento di mistero e sul senso di inquietudine, gli autori preferiscono evitare di mostrare in maniera esplicita elementi mostruosi o ultraterreni. Quando arriva il momento di scoprire definitivamente le carte, cioè nel finale, gli effetti si dimostrano più che all’altezza e contribuiscono alla riuscita di quella che è senza dubbio la migliore sequenza di Hellhole.