Heretic: recensione del film con Hugh Grant

La recensione dell’horror psicologico di Scott Beck e Bryan Woods in uscita il 27 febbraio 2025, che vede Hugh Grant nell’inedita veste di un sadico e inquietante villain.

Se c’è un film che ha destato e sta destato non poca curiosità nel pubblico e negli addetti ai lavori nell’ultimo periodo, quel film è Heretic, l’horror psicologico scritto e diretto da Scott Beck e Bryan Woods in uscita in Italia con Eagle Pictures il 27 febbraio 2025 dopo l’anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e la distribuzione nelle sale nordamericane avvenuta lo scorso 15 novembre.

La curiosità più grande di Heretic è vedere Hugh Grant alle prese con un villain inquietante e malefico

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La curiosità più grande, che poi è anche uno dei motivi per cui la pellicola ha fatto e sta facendo tanto parlare di sé, oltre ovviamente alle qualità che ha dimostrato di avere, è data dalla possibilità per lo spettatore di vedere in azione colui che è stato scelto dalla coppia di registi per interpretare il protagonista. Quel qualcuno è Hugh Grant, qui alle prese con un ruolo tanto inedito quanto memorabile, che gli ha permesso di toccare corde diverse rispetto a quelle alle quali ci ha abituati in tutti questi anni. Un ruolo, quello di un cattivo davvero inquietante, che ha mandando letteralmente in frantumi l’immagine del romantico rubacuori che si era costruito negli anni Novanta con una serie di rom-com che hanno fatto innamorare milioni di spettatori a tutte le latitudini come Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill e Love Actually – L’amore davvero. Che poi ripensandoci bene un primo assaggio di una possibile svolta dark ce lo aveva dato indossando i panni del Jonathan Fraser della miniserie The Undoing, sfoggiando anche in quell’occasione una prova assai convincente. Che non sia stata proprio la performance nello show di Susanne Bier ad avere stuzzicato la fantasia dei due registi statunitensi? Non è da escludere. Se così fosse hanno fatto bene a dare ascolto al loro intuito, con Grant che a sua volta ha fiutato l’opportunità di mettersi alla prova con qualcosa di diverso e in grado di mettere in mostra la sua indubbia versatilità. Scelta che si è rivelata vincente al punto da fare la differenza e regalare al diretto interessato delle inattese quanto meritate nomination ai Golden Globe e ai BAFTA 2025. Del resto non è la prima e probabilmente non sarà l’ultima volta che è riuscito a sorprenderci: l’Umpa Lumpa in versione tascabile e politicamente scorretto nel Wonka di Paul King ne è la dimostrazione.

In Heretic va in scena un gioco psicologico fatto di inganni, teologia e pericolose riflessioni sulla fede

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In Heretic, l’attore londinese assume le sembianze di un villain machiavellico di nome Mr. Reed, il malefico proprietario della villa alla cui porta andranno loro malgrado a bussare quelle che da lì a poco diventeranno le pedine di un gioco psicologico fatto di inganni, teologia e pericolose riflessioni sulla fede, dal quale le due malcapitate per uscirne vive dovranno mettere in discussione tutto ciò in cui credono. Si tratta di due giovani missionarie mormoni, sorella Barnes e sorella Paxton, interpretate rispettivamente da Sophie Thatcher e Chloe East che, impegnate a fare proseliti in una remota cittadina del Colorado, al termine delle visite della giornata si troveranno proprio a  bussare alla porta sbagliata per poi finire prigioniere del sadico inquilino. Non è la prima volta che Beck e Woods scaraventano pubblico e protagonisti in un incubo domestico, basta pensare ad Haunt – La casa del terrore, ma con Heretic riescono a fare molto meglio rispetto allo sbilenco e altalenante slasher del 2019. E se ciò è avvenuto lo si deve sicuramente a una scrittura e a una regia più consapevoli rispetto a quelle del passato, comprese quelle che hanno accompagnato sullo schermo il discontinuo Sci-Fi 65 – Fuga dalla Terra, ma principalmente all’efficace performance davanti la macchina da presa di cui sopra, alla quale aggiungiamo anche quelle della Thatcher e della East, che come il più esperto e popolare collega di set hanno saputo dare forza, convinzione e credibilità a dei personaggi per nulla semplici da gestire. Il fatto che entrambe le interpreti siano cresciute mormoni nella vita reale ha fatto in modo che risultassero in perfetta sintonia coi ruoli, tanto da dare preziosi spunti sulla religione durante le riprese del film.

Heretic è un horror casalingo ansiogeno e claustrale costruito in modalità kammerspiel attraverso un sali e scendi di tensione e attesa

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Heretic si va a incanalare per caratteristiche genetiche nel solco di un filone horror ampiamente battuto, che vede il focolaio domestico trasformarsi nel classico magione maledetto le cui pareti sono tinteggiate con i colori del terrore, del buio e del sangue. Ecco allora palesarsi un nuovo horror casalingo costruito in modalità kammerspiel ansiogeno e claustrale che chiama in causa fede e religione per provare da una parte a minare le sicurezze dei fruitori e dall’altra a farli saltare dalle poltrone. Ci riesce con la tecnica collaudata jump-scare, con la fotografia soffocante di Chung Chung-hoon, con il sali e scendi di tensione che mantiene lo spettatore in uno stato permanente di allerta e sopratutto con le mitragliate di dialoghi che trasformano le parole in lame affilate. Non sarà un horror da manuale, tantomeno da ricordare al punto da essere da qui ai prossimi anni citato, ma riesce tuttavia a tenere a sé l’attenzione e l’interesse di chi lo guarda per l’intera durata, lavorando sulle atmosfere, sui cambi di temperatura, su svolte non sempre prevedibili e su prove attoriali degne di nota. Elementi, questi, che non sono per nulla scontati in film appartenenti a un genere che il più delle volte li vede sprovvisti.

Heretic: valutazione e conclusione

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Dopo i barcollanti e discontinui Haunt – La casa del terrore e 65 – Fuga dalla Terra, i due registi americani Scott Beck e Bryan Woods tornano a fare coppia per firmare a quattro mani un horror psicologico in modalità kammerspiel capace di tenere incollati alla poltrona gli spettatori. Efficace nella costruzione della tensione, anche grazie alla soffocante e ansiogena fotografia di Chung Chung-hoon, il film trova nelle efficacissime performance del suo trio di interpreti il valore aggiunto e la spinta propulsiva. Su tutte quella di un inedito Hugh Grant alle prese con un villain tanto inquietante quanto sadico che rappresenta una svolta dark davvero convince per l’attore britannico, ingabbiato suo malgrado nei personaggi romantici da lui interpretati negli anni Novanta. Qui dimostra la sua gigantesca versatilità, che lo ha portato a dare corpo a un ruolo oscuro per il quale verrà sicuramente ricordato.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4
Emozione - 3.5

3.8