Hero (2002): recensione del film di Zhang Yimou con Jet Li
Un film di genere cappa e spada contenente immagini indimenticabili. Jet Li in forma smagliante dedica anima e corpo ad uno dei suoi film più celebri: Hero di Zhang Yimou.
Con Hero, il regista Zhang Yimou (Lanterne Rosse, La Foresta dei Pugnali Volanti) ci catapulta nel terzo secolo Avanti Cristo: la Cina è divisa in sette regni. Quello del potentissimo Qin è avviato a prevalere, con il Re (Daoming Chen) destinato a diventare il primo imperatore della storia. Il monarca invia un mitico assassino, chiamato Senza Nome (Jet Li), ad uccidere i suoi tre nemici più potenti: essi sono i temibili Cielo (Donnie Yen), Spada Spezzata (Tony Leung) e Neve Che Vola (Maggie Cheung). Quando il killer ritorna per rendere conto di come ha ucciso i tre guerrieri, il re lo accusa di aver mentito. Per lui Senza Nome nasconde un segreto da rivelare all’istante, pena la morte.
La narrazione è il punto di forza della pellicola
Hero è un film fuori tempo massimo, all’apparenza, ma contiene un racconto epico intrigante e denso di mistero. La nascita dell’Impero unificato cinese sotto la lente del fantasy e del genere wuxia pian. Connotato da una figura di protagonista errante e individualista che ti accompagna in un viaggio alla ricerca di guerrieri valorosi e pronti a combattere fino allo stremo, il film trova il suo punto di forza negli scontri e nell’acceso dialogo fra Senza Nome e il Re. Volutamente irregolare e frammentata, la trama si divide in tante prospettive adottate sia dal protagonista che dal suo interlocutore.
Come è riuscito Senza Nome a sconfiggere i nemici più pericolosi del regno? Una domanda che sorge spontanea e non trova immediata risposta; Hero è perfettamente in grado di impostare uno svolgimento che prende spunto da Rashomon (1950) di Akira Kurosawa e mantiene alto il ritmo con cambi di rotta repentini e scenari costantemente rielaborati. Le interazioni fra Senza Nome e i suoi avversari sono la colonna portante del girato e le soluzioni di montaggio utilizzati, per scombinarle e reinterpretarle in brevi lassi di tempo, sono essenziali al fine di comprendere il grande disegno composto nell’epilogo, dove il senso di unità prevale sull’istinto di cacciare e predare i nemici più temuti.
Il colore in Hero (2002): una gamma variopinta viene esposta con dovizia nei particolari
Un ruolo indispensabile lo svolge il reparto fotografico a cura di Christopher Doyle, dove il colore prende posizione e stabilisce le diverse sfumature che la storia di base deve assumere. Un interessante scelta cromatica viene applicata nel film di Yimou: la spinta emozionale deve partire unicamente dal costume e la tonalità del colore che caratterizza il vestiario influenza tutto ciò che gli sta attorno. Dagli oggetti di scena alla natura, dalle fitte foreste alle distese d’acqua, ogni elemento in primo piano e sullo sfondo viene elaborato secondo una precisa ottica incentrata sulla tinta unita.
La psicologia del colore viene sviscerata e distribuita nelle differenti versioni della storia raccontata da Senza Nome. L’ambientazione tende a dipingersi prima di rosso, che simboleggia il fuoco, il sangue e le passioni violente, poi di un blu indaco che purifica lo spazio e anestetizza l’incipit furente. Molti passaggi intervallati dai netti cambi di registri e colori alimentano la nostra curiosità e Hero diviene uno spettacolo visivo senza pari. Gli assassini vengono immersi in un oceano che cambia gradazione di continuo, in una dimensione altra manipolata dal narratore e protagonista. La sceneggiatura dello stesso Zhang Yimou e Li Feng di conseguenza fa completo affidamento alla componente artistica e alle specifiche direttive per impreziosire le vaste location a disposizione della troupe dietro le quinte.
La mano decisa di Zhang Yimou completa il quadro visivo
La sensibilità che ha sempre contraddistinto la filmografia del celebre regista cinese trova riparo in Hero. A fare da contraltare ad una trama principale divisa in molteplici punti di vista, abbiamo Yimou pronto a sospendere i suoi interpreti in un apparato scenico di disarmante bellezza: la Cina durante il Periodo degli Stati Combattenti. La violenza prospera inesorabilmente ma la costruzione del film si basa sulle ferree intenzioni di un guerriero a ritrovare un equilibrio interiore che va a risanare le incomprensioni e gli screzi con un nemico che potrebbe diventare suo alleato.
Il Re, dal momento in cui decide di prestare attenzione alle parole di Senza Nome, assume il ruolo di spettatore attivo e la regia lo deve guidare attraverso un mitico cammino che porta alla assoluta realizzazione di sé e dei propri intenti. Le sequenze spettacolari di combattimento in volo, oltre che a rappresentare un traguardo inedito nel panorama del cinema wuxia, fungono da manifesto di un pensiero taoista incentrato sull’amore per la natura e la ricerca della libertà personale. Non vi è alcuna traccia di istinto omicida che muove e anima i personaggi: gli uomini d’armi gettano le proprie spade, rinunciano al sangue e i duelli avvengono fra spiriti puri che nutrono il desiderio di unificare il Paese.
Hero (2008): l’importanza del sacrificio e dell’arte della spada
Nell’opera di Yimou le arti marziali non vengono sfruttate per generare sequenze ad alto tasso di adrenalina. La pratica del combattimento in sé diviene un impegno da consolidare nel tempo e con tanta dedizione. Ci si focalizza sull’arte della spada, che non riguarda solamente l’acquisizione di certe competenze tecniche ma l’accesso ad una dimensione profonda, dotata di un suo spirito connesso ad elementi quali la pazienza, la costanza e l’autocontrollo.
“La prima conquista dell’arte della spada è l’unità fra uomo e spada. Quando la spada è nell’uomo e l’uomo è nella spada, anche un filo d’erba è un’arma affilata.”. Così recita un personaggio chiave all’interno di Hero, perfettamente cosciente della conquista finale e personale che si dissocia in pieno dall’assoggettamento e dalla sottomissione imposta. Un lavoro di scrittura ragguardevole può essere individuato nel film, forte di una schiera di celebrità che si ridimensionano, offrendosi al servizio del significato ultimo di sacrificio come atto catartico e passaggio obbligatorio per redimersi e condurre il continente verso la salvezza.