High Flying Bird: recensione del film di Steven Soderbergh
La nostra recensione di High Flying Bird, secondo film di Steven Soderbergh girato interamente con iPhone, disponibile dall'8 febbraio su Netflix
High Flying Bird è un film del 2019 scritto da Tarell Alvin McCraney (premio Oscar per la sceneggiatura di Moonlight) e diretto da Steven Soderbergh. Si tratta del secondo film di Soderbergh girato interamente con iPhone dopo Unsane. I protagonisti del film sono André Holland, Melvin Gregg, Zazie Beetz, Kyle MacLachlan e Zachary Quinto. Dopo la presentazione allo Slamdance Film Festival, High Flying Bird è stato distribuito in tutto il mondo su Netflix l’8 febbraio.
High Flying Bird: l’ambiente NBA secondo Steven Soderbergh
High Flying Bird è ambientato durante un immaginario lockout della NBA, ovvero una situazione di stallo (verificatasi realmente ben 4 volte) nel campionato di basket più celebre e seguito del mondo, dovuta a un mancato accordo fra giocatori, dirigenti e altre parti coinvolte in questa grande macchina mediatica ed economica. La serrata del campionato mette in guai economici diverse persone, come l’agente sportivo Ray Burke (André Holland), a secco di provvigioni da parte dei suoi assistiti, e la matricola Erick Scott (Melvin Gregg), impossibilitato a dimostrare sul campo il proprio valore. Con astuzia e cinismo, Ray mette in atto un piano che potrebbe cambiare non solo le sorti sue e del suo cliente, ma anche quelle dell’intera NBA.
High Flying Bird conferma la costante voglia di sperimentazione di tecniche e generi da parte di Steven Soderbergh, che si conferma uno dei cineasti più originali e poliedrici in circolazione. Dopo aver rivisitato con ottimi risultati negli ultimi due anni l’heist movie (La truffa dei Logan) e il thriller/horror (Unsane), il regista statunitense mette in scena un film sportivo decisamente atipico, in cui le sequenze incentrate sul gioco del basket lasciano spazio a una lucida e cinica disamina sul sistema mediatico ed economico che governa il mondo NBA. L’azione viene così sacrificata sull’altare dei dialoghi, che nonostante siano letteralmente farciti di termini tecnici legati alla finanza e al principale campionato di basket professionistico americano non risultano mai noiosi o pedanti, ma aiutano invece ad addentrarsi nell’ambiente freddo e malsano che circonda questo sport.
High Flying Bird: un film sportivo incentrato sui dialoghi
Fin dai primi minuti ci è quindi chiaro che High Flying Bird non è un film sul basket, ma un film nel basket, che ha il chiaro intento di raccontare ciò che si cela dietro a uno degli sport più amati del mondo e i meccanismi mediatici e di potere che governano quello che dovrebbe invece essere soltanto uno splendido gioco. Niente schiacciate, stoppate o Alley-oop dunque, ma un ficcante e corrosivo ritratto di padroni sempre più avidi, agenti disposti a qualsiasi inganno o tradimento per portare avanti il proprio business e giocatori spesso e volentieri alla mercé dei potenti. Un sistema marcio e corrotto, sul quale Steven Soderbergh mette in scena una sagace e pungente critica al mondo NBA, in cui i giocatori di colore esordienti vengono mercificati in maniera non violenta e apparentemente rispettabile, ma in realtà concettualmente non dissimile da quanto avveniva nei cupi anni dello schiavismo.
Da cineasta di comprovata eleganza e profondità, Steven Soderbergh riesce a trovare la giusta alchimia fra le varie componenti e i diversi temi, realizzando una perfetta sintesi fra taglio documentaristico e spettacolarizzazione del sistema che regge la NBA e compensando la carenza di azione con la forza dei dialoghi, che anche quando ci appaiono leggermente dispersivi si rivelano successivamente piccole fondamentali tessere di un intricato puzzle umano e sociale.
High Flying Bird: Soderbergh continua a stupire
Il regista americano si rivela inoltre ancora decisamente a proprio agio con gli iPhone con cui ha scelto di girare il film, al punto che nella maggior parte delle sequenze un occhio non esperto farà probabilmente fatica a distinguere la fotografia di High Flying Bird da una di un film girato con le convenzionali cineprese professionali. Lo spettatore più attento e indiscreto noterà invece il generale senso di piattezza dell’immagine e la mancanza di dettaglio nella messa a fuoco, che comunque non inficiano il notevole risultato finale.
Dal punto di vista attoriale, a brillare sono soprattutto André Holland (che conferma le ottime sensazioni suscitate in Moonlight) e il sempre eccezionale Kyle MacLachlan, abili a dipingere due facce opposte che compongono la medaglia di un sistema impuro e maligno, in cui ognuno cerca di conquistare un posto al sole prevaricando il prossimo e dove anche i rari sprazzi di cambiamento non fanno che confermare e alimentare lo status quo.
Nonostante la scarsa attenzione mediatica, High Flying Bird si rivela un nuovo prezioso tassello nella luminosa carriera di Steven Soderbergh, capace di raccontare con sorprendente acume e invidiabile onestà intellettuale il dietro le quinte dello sport professionistico americano, traendo spunto da questo ambiente per una riflessione più ampia sull’ipocrisia e sul classismo della società statunitense. Un affascinante miscela di cultura pop (spassosa l’autocitazione di Netflix), sport e velato razzismo, che in un susseguirsi di colpi di scena dipinge un amaro e fastidioso ritratto dell’ambiente che spesso tendiamo a idolatrare.