TFF36 – High Life: recensione del film di Claire Denis
High Life è un film galvanizzante, una riflessione sulla natura umana che passa tutta dagli istinti primari e il mistero dietro il generare.
Noi esseri umani siamo nati per riprodurci. È il nostro scopo principale, il motivo per cui, apparentemente, siamo stati portati sulla Terra. Per unirci in un singolo momento e creare altra vita. Cosa accade, dunque, se ci stacchiamo dalla nostra casa? Se fuoriuscissimo dal nostro sistema solare per perderci più di quanto già non eravamo persi nel nostro mondo? Vorremmo dire che Claire Denis ci consegna qualche significato, che ci conduce lì dove l’esistenza si annulla per rimanere puro mistero, ma il cinema è pronto ad indicarci la visione di cosa accadrebbe o cosa potremmo, di conseguenza, essere. La verità è però che con il suo splendido High Life la regista francese apre non solo i nostri occhi su di uno spazio che è terrificante quanto ipnotico, ma che ci lascia ancora più irrequieti e soli di quanto inizialmente eravamo.
La certezza della sessualità e i riti che si attorniano circolarmente ad essa sono, come se ci trovassimo sulla Terra, l’unico punto di contatto che l’universo siderale ci riconferma con ancora più veemenza e carnalità. Due aspetti tali da detenere la tensione che viene protratta fino al limite nel film fantascientifico dell’autrice europea, ponendosi come fulcro e rifugio primo di ogni esperienza umana, che si affacci questa su un terreno solido o nei corridoi di una navicella che spierà le scoperte fatte nello spazio.
High Life – Il più antico enigma: la vita, la sessualità, la nascita
Ed è proprio il terriccio dell’orto cosmico all’interno della dimora in orbita che permette ai passeggeri di ricollegarsi ad un bisogno primordiale, il contatto con qualcosa di puro e inevitabile come la natura, che anche nell’oscurità più profonda mantiene la perseveranza per poter trovare un modo con cui crescere. Un piccolo giardino in cui i personaggi tentano di mantenersi legati ai se stessi originali, così privati della propria istintività da percepirsi come animali incontrollabili e, come spesso accade, prigionieri. Sono cavie i criminali spediti in avanscoperta nell’universo, privati anche di quella spontaneità sessuale che farà comprendere loro come tutto possa venir manipolato. Dalle cellule ai sentimenti.
Perché anche nello spazio il desiderio più grande è trovare la vita e, per farlo, si è disposti a qualsiasi sacrificio. Cercare la vita che, anche lì, in quell’ambiente estraneo e radioattivo, è comunque umana. High Life si aggira nei meandri della filosofia per avanzare una riflessione che parte dal sesso, lo sperma, la fecondazione indotta, per tornare a noi, alla nostra forma, alla vita che occupiamo sulla Terra. Enigmi arcani che, nello sci-fi che sta per futuro, tornano per parlarci del bisogno di generare esistenza e, nel farlo, esplorarne la metodologia. Gli incastri biologici che non sono mai abbastanza per la nostra brama di, ancora, vita.
High Life – Un film galvanizzante che vive oltre lo spazio
Ed è la direzione che la navicella percorre a dettare, anche nella realtà, il passo iniziale con cui cominciare questo indescrivibile percorso. Il buco nero che, come sostituto allegorico di un’altra zona scura in cui solo infilandosi si può sperare di riprodurre dei geni, attende la penetrazione del mezzo di trasporto per cercare di concepire un miracolo il quale, per definizione, supera i confini dell’azione umana. E, nel caso in cui vuole trasportarci la Denis, della concezione stessa dell’umano.
High Life è un film galvanizzante, uno spettacolo che porta in evidenza la componente sessuale che, per gli individui, è essenziale, ed la elabora attorno ad un’opera che permette al protagonista Robert Pattinson e al pubblico stesso di diventare un tutt’uno con l’universo. Una sola vita, una sola credenza. Il ricominciare ogni volta dal punto di inizio: dal nero, dalla carne, dal proprio sesso, tutto fino all’indagine di cui questi divengono cardini. Un’ambiguità che Claire Denis porta in grembo non con avidità, né superbia. Nessuna ammissione di comprensione, piuttosto congetture che scaturiscono dall’indole – anche genitrice – delle persone e che la regista proietta lì, lontano, dove la scienza rimarrà sempre estasiata davanti alla natura. Come rimaniamo noi davanti ad un film così clamoroso, di quelli che continueranno a vivere oltre lo spazio.