His House: recensione del film di Remi Weekes
Attraverso gli occhi di una coppia di migranti, His House ripercorre il viaggio fisico e spirituale di molte persone, rivisitando questo tipo di esperienza con spirito horror.
Emigrati dal Sud Sudan con non poche difficoltà, insieme a molti altri, Bol e Rial approdano in Europa per finire in una casa loro assegnata nella periferia di Londra. Il bagaglio culturale ed emotivo che la coppia si porta dietro è molto ingombrante, tanto da rendere difficoltoso l’inserimento della nuova realtà, dovendosi oltretutto accontentare di una sistemazione al limite dell’accettabile da un punto di vista sanitario e strutturale. Mentre Bol cerca di annullare le differenze che lo dividono dai vicini iniziando a vestire abiti casual e rimuovendo le vecchie abitudini dal suo comportamento, Rial si rifiuta di accogliere nella sua normalità questa cultura che con lei ha ben poco a che fare. La casa in cui sono alloggiati toglie loro ogni dubbio, ricordando ogni notte quali sono le loro radici, popolandosi di vecchi spiriti e demoni che solo una volta accettati permetteranno alla coppia di vivere serenamente e conciliare la loro vita con il nuovo ambiente in cui vivono.
Sope Dirisu e Wunmi Mosaku sono gli ottimi protagonisti di His House.
His House racconta le vicende di questa giovane coppia di emigrati, utilizzando il loro viaggio come motore narrativo che dia avvio al vero focus del film. Il regista e sceneggiatore Remi Weekes dona a Netflix la possibilità di approfittare di un racconto potenzialmente drammatico per concentrarsi in realtà sui risvolti horror a cui la nuova sistemazione può dar vita. Niente patetismo, niente compassioni: solo un viaggio intimo, seppure dalle forti venature cupe, che porta i protagonisti a una sorta di catarsi grazie a cui fare i conti con loro stessi e con il loro passato. Sebbene la sceneggiatura di His House crei immagini immediate e talvolta semplicistica, i personaggi di Bol e Rial riescono ad arrivare agli spettatori in modo chiaro e ben definito, grazie anche alle interpretazioni centrate ed efficaci dei due attori protagonisti Sope Dirisu e Wunmi Mosaku, entrambi già volti noti alle produzioni televisive britanniche.
His House: cosa si cela nel sottotesto.
La costruzione del racconto di His House si avvale senza dubbio di una forte immediatezza delle immagini e di una buona capacità di far trasparire intere situazioni e processi burocratici senza dilungarsi troppo in descrizioni didascaliche. Il focus resta sempre e comunque la lotta che Bol e Rial portano avanti giorno dopo giorno contro i demoni del loro passato e contro una vita che li ha portati a certe azioni e a certi modi di essere a prescindere dalla loro vera natura. Il lato migliore di questa produzione di Weekes risiede proprio nella sua capacità di far intravedere, di far presente allo spettatore una serie di circostanze pur senza approfondirle in maniera esplicita, preferendo invece concentrarsi sulla continua iterazione di scontri e meccanismi su livelli diversi. Cosí, Bol che si veste in stile europeo si contrappone a Rial che continua a mangiare con le mani, oppure la figlia della coppia che diventa simbolo di tutto ciò che erano e con cui adesso sono costretti a fare i conti. Perché anche se il viaggio e la traversata dell’Europa parrebbe essere stato un viaggio relativamente tranquillo per i due, l’esperienza stessa crea dei fantasmi del passato con cui prima o poi dobbiamo scendere a compromessi. In questo senso sono infatti da leggere le ultime battute del film, pronunciate da Bol, il quale rende esplicito agli altri personaggi (e quindi al pubblico) quale sia il modo per superare una transizione cosí forte e come poter sopravvivere senza rinnegarsi.