TFF38 – Hochwald: recensione del film di Evi Romen
Con Hochwald Evi Romen invita a riflettere sulla condizione, sociale e umana, di una piccola realtà altotesina, dove le asperità umane si acuiscono e raccontano le paure del presente.
Il mondo negli occhi del villaggio. Il paesino sudtirolese in cui Evi Romen ha deciso di ambientare il suo esordio al grande schermo, Hochwald, è un luogo sospeso, come la cabina che la funivia scorrazza su e giù dal monte, collegando il presente a un tempo dilatato. Anche gli spazi vivono un luogo inesistente, utopia in senso infernale. Qui vive Mario (Thomas Prenn), pasticcere con il sogno della danza. Più che ballare è (tentare di) fuggire. Nei primi minuti lo osserviamo scatenarsi: un ballo di liberazione e sconforto. Evi Romen trova nei movimenti del corpo, a ritmi di danze contemporanee, un primo approdo. Lo scontro tra Mario e il paese avviene a livello cutaneo. Lui, nudo in movimento, impassibile al gelo di montagna. Loro, celati dietro il tepore di ipocrisie, razzismo, tradizioni.
Il paese, il mondo e il mondo del paese
Le prime fanno da cappotto. Mario, omosessuale non dichiarato (come potrebbe qua su?), è costretto ad arrotondare dando adito alle richieste di un compaesano dalla sessualità repressa. Razzismo e tradizione, in forma di religione, sono un livello successivo, ma ugualmente spesso, rivelato allo spettatore quando il miglior amico di Mario perde la vita in un attacco terroristico in un locale gay di Roma. Lenz era il giovane di cui tutto il villaggio andava fiero. Non come Mario. Why Not You, perche non tu (e perché lui), è infatti il titolo di Hochwald in versione inglese. La domanda, spesso più un’affermazione, è negli occhi giudicanti dei compaesani, che guardano a Mario come a un ingiusto sopravvissuto. Perché in quella sparatoria non doveva morire Lenz, ma lui. Lui che si droga, che balla, che va con gli uomini. Lui che crea disdegno.
In questo luogo, sulla carta italiano, ma con il cuore verso Vienna, con il tedesco nel ruolo di lingua della quotidianità, Evi Romen trova modo di nuclearizzare un numero inimmaginabile di temi. Il centro, sintetizzato nella recitazione di Thomas Prenn, a cui la cinepresa si dà in un turbinio di manierismi, non è però concesso. L’attacco terroristico, ispirato ai fatti del Bataclan di Parigi, in cui per altro morì davvero un altotesino, è diretto senza eccessi o enfasi. In questo, Romen non cede allo spettacolo della tragedia, preferendo le conseguenze ai fatti scatenanti. Al contempo non è facile capire la meta di quest’opera così ambiziosa ma inconcludente. La matassa di questioni da dipanare, dal sempre maggior distacco tra provincialismo e città-globale alla provincia come aggregatrice di ipocrisie, fino al terrorismo e al razzismo, non possono che chiudersi in un luogo limite e immobile. Troppo in movimento la funivia, che con ripetuta insistenza viene chiosata da scene di passaggio, Romen sceglie di finire sulla foresta. Mario ci danza, ancora una volta nudo, con la parrucca di Lenz e una capra al quinzaglio, vinta alla pesca di beneficenza del paese (la fortuna non fa discriminazioni). Un finale arrendevole, figlio di una sceneggiatura appesantita da continui stimoli.
Hochwald: sognare la Luna e affrontare se stessi
A rendere ostica la visione è soprattutto la recitazione di Thomas Prenn, alienato tra passi di danza, sguardi in macchina e urla. La scompostezza dell’interpretazione non supporta la rigidità dei personaggi secondari, causando un cortocircuito tra testo e messa in scena. Le problematicità, che confermano però le buone intenzioni, si riuniscono nell’ultimo atto di Hachwald. Mario, perso nella dipendenza e squattrinato, trova in un amico di infanzia la via all’Islam. L’Imam che lo guida è il paciere delle lacerazioni di Mario, anche se arrivano come benzina nella visione che il paese ha di lui, sopravvissutto all’attacco terroristico e ora convertito: ancora una volta la banalità del provincialismo. Questo passaggio, delicato e quanto mai presente, come dimostrano le recenti reazioni al ritorno di Aisha Silvia Romano, convertitasi all’Islam dopo un periodo di priogionia, viente raccontato dalla prospettiva della più piccola delle realtà possibili. La Romen, infatti, invita a non osservare la realtà altotesina come soggetto, bensì in allusione ai luoghi del mondo dove il presente acuisce le proprie complessità. Fuggire diventa un desiderio, ma spesso irrealizzabile.
Sulle pareti di Mario alcuni poster significativi: immagini dell’allunaggio e la locandina di Moon di Duncan Jones. Segno che, per lui, la funivia dovrebbe oltrepassare il villaggio e puntare ancora più su, anche se forse, come nel film di Duncan Jones, rischierebbe di trovare un altro sè, lo stesso che per l’intera durata di Hochwald decide di ignorare e abbandonare a danze la cui interpretazione è tutta negli occhi dello spettatore.