Home Sweet Home Alone Again: recensione del reboot di Mamma ho perso l’aereo
Home Sweet Home Alone Again cerca di rinsavire una saga cult anni '90, ma sbaglia toni e presupposti conducendo l'operazione al fallimento.
Come per legge: dopo qualche anno scatta la prescrizione e c’è l’obbligo di reboot. Per Mamma ho perso l’aereo (Home Alone) ce ne sono voluti 31. Era il 1990, e il natale di un’intera generazione non sarebbe più stato lo stesso. Tra riproposizioni televisive e malinconie Social – in tempi alimentati a nostalgia – Mamma ho perso l’aereo è il classico natalizio per antonomasia. Secondo (forse) solo a Una Poltrona per due. Ecco allora che 20th Century Studios – che ormai si legge Disney – ha pensato che quella storia così semplice ed efficace meritasse una rinfrescata. Il risultato non esce in sala (quante cose cambiano in trent’anni!) ma su Disney+, dove Home Sweet Home Alone Again sarà disponibile da venerdì 12 novembre.
Da un lato il modo di dire: casa dolce casa. Dall’altra il titolo del cult anni ’90: Home Alone. Infine, “again”. Che mette il film sulla scia dell’originale e promette una rivisitazione moderata dello stesso schema. La casa dolce casa è però per lo spettatore, che ritorna in questo mondo ideale abitato dai cult dell’infanzia come in una comfort zone immutabile. La stessa dove vivono progetti (ugualmente incerti?) come Space Jam – New Legends e Ghostbusters: Legacy. Il villaggio di Winnetka, a Chicago, è d’altronde il medesimo dell’originale Mamma, ho perso l’areo, anche se i tempi sono cambiati, e con loro i bambini – prima protagonisti indiscussi della storia – e persino i ladri – che proprio ladri non sono. E il pubblico, è cambiato o verrà deluso da un reboot coraggioso ma del tutto privo del mordente anni ’90?
Mamma, ho perso…un’occasione
Pensate di conoscere la storia, ma vi sbagliate. Perché Home Sweet Home Alone Again è un reboot che approfitta di un’occasione unica: cambiare prospettiva. Dunque sì, un bambino viene dimenticato a casa durante le feste di Natale. Ma questa non è la sua avventura. Home Sweet Home Alone Again racconta infatti di una coppia al lastrico, costretta a vendere casa sotto Natale per ripagare gli insormontabili debiti. Lei (Ellie Kempers) è una maestra, lui (Rob Delaney) un “data migration…something”, licenziato con l’avvento del famigerato cloud. La crisi della classe media: ancora inimmaginabile nel classico anni ’90.
Salvare il Natale è impossibile. Eppure una soluzione c’è: una vecchia bambola, abbandonata nello sgabuzzino, dal valore di duecentomila dollari. Peccato però esista Max (Archie Yates), dispettoso bambino di dieci anni che si è impossessato del giocattolo e non ha intenzione di lasciarlo andare. Ma Max viene dimenticato a casa dalla famiglia e così i due disperati possono tentare l’impossibile e vestire i panni dei ladri amatoriali. Il resto, lo conoscete davvero. Anche se la slapstick comedy del reboot sbaglia i toni e, avendo spinto l’empatia nei confronti dei “ladri” prima che nel bambino, cambia del tutto il punto di vista e porta lo spettatore a detestare il piccolo furfante.
Senza carattere
Archie Yates, che già abbiamo amato nel Jojo Rabbit di Taika Waititi (“I am going home to my mother. I need a cuddle”, esclamava in una battuta che andrebbe bene per entrambi i film), è bravo ma mai incisivo. Così come sufficienti sono Kempers e Delaney, ai quali riconosciamo l’alta soglia di sopportazione per i continui sopprusi a cui vengono costretti inutilmente, senza che scatti mai la risata.
Il cambio di prospettiva porta a un totale disinteresse nei confrnti del piccolo Max. Anche il suo abbandono avviene quasi off-screen, e dà inizio a una breve scena di svago in una casa libera di cui però non conosciamo molto. Gli spazi della grande villa sono lasciati in secondo piano, rompendo lo schema efficace del titolo originale dove una prima parte mostrava l’ambientazione, preparando ogni stanza alla successiva trasformazione in macchina da guerra orchestrata dal piccolo Kevin McCallister.
I tempi son cambiati? Home Alone oggi
Mamma, ho perso l’areo, che pur non volendo torna alla mente durante la visione, era l’avventura di un bambino alle prove con la vita adulta. Dimenticato dai genitori, Kevin – che non sapeva nemmeno comporsi una valigia – impara a fare la spesa, a dormire solo e a difendere ciò che è importante. Il mondo dei bambini era l’inferno degli adulti.
Tutto questo, in Home Sweet Home Alone Again è assente perché inverosimile. Oggi, a 10 anni, un bambino paga le microtransazioni di videogiochi online con la carta dei genitori mentre ordina una pizza con Alexa. Home Sweet Home Alone Again non ignora la situazione, e come molti reprise contemporanei scherza sui tempi andati, anche se mai con l’intelligenza di prodotti quali Kobra Kai. Eppure si decide, scientemente, di fingere che quello stesso bambino non sia munito di Smartphone. O che nel 2021 sia davvero possibile essere isolati in una casa. Home Alone era un titolo di senso perché nei primi anni ’90, se non andava la linea telefonica, in casa si era soli davvero. Fatto di per sé oggi impossibile, vista la quantità di dispositivi, localizzatori, assistenti virtuali in cui siamo immersi. D’altronde, anche per questo amiamo Mamma, ho perso l’aereo; così come amiamo Sitcom quali Friends.
Home Sweet Home Alone Again offre invece uno spaccato più difficile della vita. Dove non si impara ad essere adulti ma si lotta con la vita da grandi. Il cambio di prospettiva segue dunque lo spettatore, che prima empatizzava con il piccolo Kevin e ora con i due ladruncoli improvvisati nella speranza di pagare i debiti e sistemare tutto.
L’occasione era d’oro, e avrebbe giustificato la dubbia operazione di reboot. Purtroppo però, Home Sweet Home Alone Again è inconsistente. Un insieme insopportabile di situazioni senza sostanza e direzione. La soluzione dell’intreccio è sempre dietro l’angolo (basterebbe che i due adulti parlassero al bambino) ma viene ignorata per giustificare la sequenza di assurdità condotta senza un ritmo comico sufficiente. Home Sweet Home Alone Again è sempre sulla soglia del buffo, e preferisce le pernacchie alla storia. La sensazione, ancora una volta, è che il reboot non voglia farsi carico di un’eredità importante (uno dei franchise più amati) parlando a una nuova generazione, ma semplicemente finire di consumare l’attrattiva dell’originale per poi sparire nel nulla.
Si poteva fare, ma non così
La regia che lascia a desiderare, quando non è del tutto da buttare, non delude solo per le discutibili scelte estetiche (la sovrapposizione dei volti in nuvolette fluttuanti, nel 2021) ma soprattutto per l’assenza di idee destinate a restare.
Non aiuta la sceneggiatura, che in Mamma, ho perso l’aereo era capace di personaggi come l’ambiguo e salvifico vicino di casa o il dialogo tra il pizzaiolo e la scena in vhs di Angeli dalla faccia sporca, e che qui si rivela piena di tanti piccoli strafalcioni.
“Non so perché vogliano sempre rifare i classici” esclama in scena uno dei personaggi. Una sorta di difesa – che almeno strappa un sorriso – per un reboot necessario (perché no?) ma mal pensato.