BFI 2019 – Honey Boy: recensione del film
Recensione di Honey Boy, il film che racconta senza filtri l'infanzia dell'attore Shia LaBeouf e del suo rapporto problematico con il padre.
Non è un biopic dichiarato, ma Honey Boy racconta la storia di Shia LaBeouf, permettendo al pubblico di comprendere meglio l’attore incoerente che alcuni anni fa si è presentato al Festival di Berlino con un sacco di carta in testa. Ha cominciato a lavorare come attore molto presto, con il padre che lo spingeva a dare il massimo come una sorta di bizzarro manager.
Il film si sviluppa su due filoni temporali. Da una parte segue il piccolo Otis che passa le sue giornate negli studi cinematografici e in compagnia del suo vecchio, crescendo troppo in fretta, senza affetti e amici. Ha una visione un po’ distorta della realtà e il padre non è una figura su cui può fare affidamento, poiché sembra interessarsi a lui solo come fonte di guadagno, mentre la madre è lontana e vive la sua vita. Lucas Hedges invece è Otis adulto che porta i segni di quell’infanzia conflittuale e diversa dai suoi coetanei, con episodi di violenza, dipendenza da alcol e numerose sedute dalla psicologa per farsi reintegrare nella società.
Honey Boy: la storia dell’infanzia di Shia LaBeouf
Dopo essere passato al Sundance Film Festival e al Toronto Film Festival, Honey Boy è stato applaudito al London Film Festival dove Shia LaBeouf era presente, disponibile e sorridente. Da qualche tempo infatti l’attore sembra essere tornato sulla retta via, anche se dovrà ancora combattere qualche demone del passato ogni tanto. Anche perché Hollywood non è facile da gestire con una personalità segnata dal dolore e dalla mancanza di punti di riferimento solidi.
Honey Boy, diretto da Alma Har’el infatti sottolinea proprio questa sensazione di disagio con se stesso e con gli altri del personaggio di Otis, alter ego dell’attore di Fury e Transformers. La scelta di interpretare egli stesso suo padre nel film è quasi un modo per affrontare la realtà, una catarsi davanti alla telecamera che gli riesce molto bene. Il padre appare come una forza tossica che ha plasmato la sua vita per molti anni, gli anni più importanti, di formazione e maturità. Anche il piccolo collega Noah Jupe che ultimamente vediamo spesso sul grande schermo, regala una performance intensa e convincente, sostenendo il peso emotivo del film.
In una realtà povera e sfortunata si sviluppa questo rapporto padre-figlio sbilanciato e corrotto, ma non privo di affetto e complicità. I due sembrano volersi molto bene, ma sono incapaci di rendersene conto e dedicare tempo a costruire qualcosa, oltre a sopravvivere. La sceneggiatura funziona come una sorta di terapia per LaBeouf che affronta ogni giorno quei problemi profondamente radicati. Tuttavia con questo film sceglie di condividerli con il pubblico.
Honey Boy è necessario per capire l’identità di Shia LaBeouf
Honey Boy è un dramma emozionante dall’anima indie, ma presenta qualche punto debole nel ritmo e nello stile. La regia è molto tradizionale e si scontra con alcuni vincoli narrativi, ma delinea una interessante storia di resistenza e desolazione. Una tenerezza contorta e l’insicurezza fanno parte dell’Otis bambino e dell’Otis adulto, ma l’immedesimazione dello spettatore non avviene completamente. Le scene non sono costruite per arrivare al cuore, ma piuttosto per denunciare una realtà difficile e amara che, in un certo senso, ha avuto il suo lieto fine se valutiamo Shia LaBeouf oggi.
Curiosa infatti di Honey Boy la scelta alla base del progetto. Le star di solito tendono a nascondere la loro vita privata ai fan, anche quando le informazioni vengono distorte dal pettegolezzo. Ma LaBeouf, un attore di talento che gode di una indiscussa celebrità, con questo film permette ai fan di sbirciare dal buco della serratura, non solo in nome del semplice voyeurismo ma per spiegare l’origine della sua identità professionale e soprattutto personale.