How to Be Normal and the Oddness of The Other World: recensione del film presentato alla Berlinale 2025

Il primo lungometraggio di Florian Potchlatko è una rielaborazione del cinema postmodernista degli anni novanta.

Florian Potchlatko, regista austriaco di cortometraggi e videoclip musicali, partecipa con il suo primo lungometraggio, How to Be Normal and the Oddness of The Other World, alla Berlinale 2025.
Il film racconta la storia di Pia, una giovane donna che, uscita da un ospedale psichiatrico, torna a vivere con i genitori. La ragazza, ex studentessa di arte, si deve cimentare con un alienante lavoro d’ufficio, le difficoltà relazionali dei genitori, il ricordo di un amore rovinato dalla malattia mentale e le conseguenze sul proprio corpo degli psicofarmaci.

How to Be Normal and the Oddness of The Other World: fra postmodernismo e Alice nel paese delle meraviglie

How to Be Normal and the Oddness of The Other World  Cinematographe

Una trama del genere dà adito a molteplici possibilità di messa in scena e di tono, alcune anche molto distanti fra loro. Potchlatko opta per la costruzione di una satira drammatica surreale che pesca a piene mani dall’estetica del videoclip e del cinema postmodernista pop anni novanta. Per intenderci, lo spettatore, mentre assiste alle traversie di una ragazza middle class con problemi di salute mentale, finisce per trovarsi catapultato in un universo fatto di omaggi espliciti a Fight Club (Fincher, 1999) e reinterpretazioni di scene iconiche di Matrix (Lana e Lilly Wachowski, 1999).

La struttura filmica privilegia le ellissi temporali e le ripetizioni di unità sceniche, così da creare dei veri e propri loop narrativi, interrotti da esplosioni di immagini a effetto, spesso legate a un film diegetico che i protagonisti guardano. I colori sono roboanti e accesi, i dettagli iperrealistici e il montaggio schizofrenico passa da momenti di stasi a momenti ipercinetici. Il regista utilizza questi espedienti per farci percepire in maniera diretta il mondo in crisi della protagonista, che ha difficoltà a distinguere la realtà dalle proprie allucinazioni e desidera un ritorno a una normalità impossibile.

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D’altronde la psicanalisi ha spesso descritto il desiderio in termini di produzione di fantasmi. Ovvero il desiderio di un qualcosa di assente si fa catalizzatore, nella mente del malato, della produzione di un immaginario che tende a sostituire la realtà. Ciò causa il distacco da quest’ultima e la prevalenza di una vita interiore che, però, si deve rapportare sempre a un mondo esterno ormai inconoscibile. Potchlatko sembra volersi concentrare proprio su questa frattura fra immaginario e mondo reale, riconducendo l’intero processo della malattia mentale al rapporto primigenio di un soggetto in crisi con la propria autorappresentazione. Rapporto che viene mediato dalla percezione del proprio corpo. Quest’ultimo diventa immagine deformata, come accade al corpo dell’Alice di Carroll quando mangia i dolcetti che la ingigantiscono o come lo sono i corpi fantasmatici di Tyler Durden e dell’avatar di Neo dentro la Matrice. Insomma How to Be Normal and the Oddness of The Other World costruisce un legame fra immagine psichica e corpo filmico. Il regista crea una visione in cui il cinema è inteso come il più grande meccanismo spettacolare psichico della (post)modernità in grado di fornire riferimenti simbolici a una psiche annientata dalla quotidianità. Immaginario filmico come specchio (sempre ad Alice torniamo) dei riflessi dell’io frammentato dello spettatore. Quest’ultimo è infine ridotto deleuzianamente a macchina che produce desideri, di vita, di amore di accettazione, insoddisfatti e dunque destinato allo stato psicotico.

How to Be Normal and the Oddness of The Other World: valutazione e conclusioni

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Dall’altra parte dello specchio (The Other World?) invece, troviamo la normalità. Una normalità che sembra più folle delle visioni di Pia, poiché incentrata sui dogmi della produttività e del consumo. Dunque un mondo permeato dalla marxiana alienazione, che vede l’uomo/lavoratore perdere la propria umanità all’interno dei processi di produzione macchinici industriali. Solo che nella società moderna la macchina industriale è fluida, viaggia sulle autostrade digitali e la produzione riguarda soprattutto dati, e immagini. Così Potchlatko ci fa capire che forse non è Pia ad essere sbagliata. In un mondo dove l’unico valore è la produttività, abitato da persone incapaci di comunicare tra loro, completamente assorbite dal lavoro e vittime di un costante bombardamento mediatico di immagini atte a terrorizzare le masse, entrare in crisi è forse l’unica risposta razionale e che si possa ancora definire umana.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.3

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