Roma FF18 – How to have sex: recensione del film di Molly Manning Walker

Un esordio al lungometraggio che nel raccontare un’estiva fuga adolescenziale, ad alto tasso alcolico e sessuale, si perde nello sguardo poco coraggioso ed ispirato di una giovane autrice che fin troppo deve, sia al cinema di Harmony Korine, che a quello di Abdellatif Kechiche, mancando di un’impronta personale e inevitabilmente decisiva per le sorti del film. Apertura della 21a edizione di Alice nella Città. In sala a inizio 2024 con Teodora Film e poi in esclusiva su Mubi

How To Have Sex, debutto alla regia della giovane e promettente autrice britannica Molly Manning Walker, già vincitore del Prix Un certain regard a Cannes 2023, è il film di apertura della 21a edizione di Alice nella città, distribuito nelle sale cinematografiche italiane dall’1 febbraio 2024 con Teodora e successivamente in esclusiva streaming su MUBI.

Dopo una lunga carriera nella realtà filmica del cortometraggio, la Walker approda definitivamente alla forma lungometraggio con un titolo legato ad una traumatica esperienza personale, precedentemente al centro del suo noto corto, Good Thanks, You? e rivissuta qui attraverso l’esplorazione dell’inevitabile desiderio carnale tipicamente adolescenziale che passa per il concetto, oggi attuale più che mai, del consenso, in ogni sua devastante e graduale conseguenza psicologica.

How to have sex di Molly Manning Walker - Cinematographe.it

“Spring break… per sempre!”

Questo era il motto, dapprima gridato e infine dolentemente sussurrato dalle quattro cattive ragazze di Spring Breakers, il cult allucinato e realista di Harmony Korinedel quale trovate qui, un nostro speciale – che nel 2012, ben prima di qualsiasi altro film si poneva come obiettivo, il racconto di una parentesi estiva e adolescenziale, vissuta nella sua dimensione stoner e disperata, da quattro giovani, che ritrovatesi improvvisamente protagoniste di un mondo malato in cui tutto appariva legittimo e libero, ne divenivano vittime, mutando soltanto in seguito in vere e proprie carnefici, perdendo così l’innocenza e la spensieratezza, senza più – ritrovarsi – e ritrovarle.

Anche il film di Korine aveva inizio con un party. Quello sì realmente sregolato e dai toni decisamente immorali, tanto che vedeva alternarsi tra loro buffi giochi sulla spiaggia e vere e proprie simulazioni di sesso orale e non solo, con tanto di nudità esplicita e immaginario psichedelico, abbagliato da un sole californiano destinato a scottare sempre più quei giovani americani, che in cerca di trasgressione, sesso, droghe e libertà, scoprivano infine le violenze e il marcio di un mondo dal quale allontanarsi, senza più farvi ritorno.

Fuggiva per prima e sola, Faith (Selena Gomez), l’osservatrice silenziosa con il sogno dell’idillio trasgressivo, colei che improvvisamente desidera, un po’ amaramente e un po’ malinconicamente di tornare a casa, tra le braccia di una famiglia in attesa, nella speranza e volontà ultima di riprendere in mano un’intera esistenza, non ancora macchiata dalla morte e dalla disperazione, almeno, non indelebilmente.

Mia (una convincente Mia McKenna-Bruce), la complessa protagonista di How To Have Sex invece non è sola. Non lo è al suo arrivo a Malia, in Grecia e non lo è nemmeno al momento del ritorno a casa, poiché circondata dalle due amiche di una vita, Em (Enva Lewis) e Skype (Lara Peake), le quali non fanno altro che gridare, bere, fumare, promettersi fedeltà e sentimento e stuzzicarsi tra loro, un po’ con cattiveria e un po’ con complicità, finendo per sfidarsi e amarsi, pur confondendo tra loro amore e violenza. Lo si intuisce dagli sguardi e dalle scelte.

Eppure, come si suol dire, è proprio nel momento del bisogno che un amico o un’amica si rivelano per ciò che realmente sono. Se infatti Mia non è sola né all’arrivo, né al ritorno dall’inizialmente idilliaca parentesi estiva di Malia, tra promiscuità sessuali e droghe e alcolici liberamente accessibili, lo è nel momento di maggior vulnerabilità, in seguito al quale ogni dinamica psicologica – e non – è destinata a mutare, restando impressa nella memoria di Mia e così di quei luoghi, a cui certamente non farà più ritorno.

Tra interminabili party, intere giornate trascorse a bordo piscina – anch’essa a forma di pene – di un villaggio vacanze frequentato da chi come loro non desidera nient’altro che sballo, disinteresse emotivo e caos, Mia, Em e Skype si osservano tra loro, fotografandosi, scambiandosi i vestiti e sostenendosi nelle sbronze più colossali delle loro vite, celando un’invidia reciproca che esplode nel momento in cui l’idillio cessa e la concretezza della vita, quella vera, degli studi e delle proiezioni future, torna prepotentemente in scena.

Ogni logica, a partire da quell’amicizia così longeva, eppure insincera, viene messa una volta per tutte in discussione, dai successi, dai fallimenti, dalle mancate consapevolezze che in modo differente le tre si ritrovano a vivere ed accettare e così i non detti che culminano nella sequenza più potenzialmente interessante di How to have sex, nella quale un po’ a sorpresa – ma non troppo – l’esordio della Walker sembra virare verso il thriller, suggerito inoltre dalla desolazione post apocalittica delle strade di Malia, che al sopraggiungere dell’alba, dunque al termine della notte e dello sballo, sembrano appartenere ad una vera e propria ghost town, celando ma evidentemente suggerendo la presenza inevitabile di fantasmi, violenze e morte.

How to have sex: valutazione e conclusione

La riflessione sui turbamenti dell’adolescenza e ancor più della sessualità non consensuale, svestita di qualsiasi componente erotica – nonostante il titolo – passa qui per un dramma intimistico dalle molteplici riflessioni, che nel tornare alla malinconia biografica dell’Aftersun di Charlotte Wells, la mette presto da parte, ritrovando sguardi, perdizione e carnalità – soltanto suggerita – precedentemente rilevabili e in chiave decisamente più matura e coraggiosa, tanto nel cinema di Harmony Korine, quanto in quello di Abdellatif Kechiche.

Il gran finale in aeroporto non risulta sufficiente a risollevare le sorti di un film fin troppo debitore di un immaginario altrui, che nel trattare importanti questioni di identità e sessualità, preferisce saltellare tra i generi con inaspettata leggerezza, pur di non sprofondare nell’oscurità senza fondo di una narrazione che senz’altro l’avrebbe meritata.

Manca di coraggio e così di un’impronta personale e riconoscibile l’esordio al lungometraggio di Molly Manning Walker. Eppure, How To Have Sex ne dimostra qualità autoriali da tenere d’occhio.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.7