Hunger (2023): recensione del film thailandese Netflix
Aoy decide di tentare il tutto per tutto aprendo un ristorante d'alta cucina: ma ne scoprirà il lato oscuro
Hunger è un film distribuito da Netflix l’8 aprile 2023: diretto da Sitisiri Mongkolsiri, sceneggiato da Kongdej Jaturanrasamee, ha tra gli interpreti Chutimon Chuengcharoensukying, Kenneth Won e Nopachai Chaiyanam.
Hunger: cosa racconta il film Thai?
“Perché vuoi lavorare all’Hunger?” “Perché voglio essere speciale”, afferma la protagonista del film; Hunger sconvolge il mondo della ristorazione in chiave diversa. Aoy, una aspirante e giovanissima chef, gestisce il ristorante di noodles di famiglia: decide di tentare la fortuna e si unisce ad altri ragazzi talentuosi per aprire un nuovo locale. In questo modo, entrerà nell’industria culinaria raffinata di Bangkok ma anche in un vortice di perdizione che le precipiterà in un lato oscuro della ristorazione.
E pensare che una volta la cucina sul grande schermo proprio non esisteva: senza dire e precisare (ma tanto si sa) che sul set non si mangia veramente, era proprio la cucina in sé un ambito intoccabile e inesplorato. Probabilmente perché non era interessante -o si pensava non lo fosse- per nessuno, i cuochi non ispiravano grandi personaggi, l’arte culinaria pareva buona solo per gag o risate.
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È difficile dire quando è successo, ma intorno al nuovo secolo qualcosa è cambiato: i cuochi d’oltralpe non erano all’improvviso solo persone con grandi baffi all’insù ma artisti dell’haute cuisine, capaci di dare il via a storie appassionanti e appassionate.
Cucina e racconti
È il 2007 quando Sapori e Dissapori rende mainstream la figura del cuoco, una commedia romantica con uno chef arrogante e talentuoso; c’è stato poi Chocolat, con il cioccolato come arma contro l’omologazione, quel gioiello di Ratatouille con il suo rapporto tra sapore e memoria, fino a Il Sapore Del Successo con la metafora di un percorso per ricominciare da zero.
Ci aveva poi già pensato ultimamente The Menù di Mark Mylod (2022) a spegnere le luci in sala e far piombare lo show della ristorazione in un buio inquietante: Hunger ne riprende temi e suggestioni, a partire dalla fotografia livida e desaturata di colori che rincorre piani di lavoro e portate di cibo ultra sofisticato e lavorato.
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D’altronde, la materia si presta ai contrasti cromatici scontornati dal fuoco dei fornelli: ma è certo la regia di Mongkolsiri a dare ritmo e impregnare le sequenze di Hunger di un angosciante senso di claustrofobia. Hunger riesce poi a cogliere le sfumature delle affinità tra cucina, violenza fisica e lotta sociale (un po’ come aveva tentato di fare Mylod, che però sbagliava a far sbracare il finale del suo film sul grottesco) giocando lo stile della narrazione tra orrore e ossessioni, affondando la trama in una satira sociale che potrà essere derivativa per campo tematico ma decisamente potente nello svolgimento e, soprattutto, nei dialoghi. “i poveri mangiano per non avere più fame”, si dice in un passaggio, “ma quando hai più che abbastanza da mangiare la fame non finisce mai.”
Fin qui tutto bene: peccato che però Mongkolsiri sembri non avere il dono della sintesi, e superata la metà del film qualcosa si inceppa e la storia inizia a roteare su sé stessa, in una specie di coazione a ripetere che attenua notevolmente la portata teorica di Hunger e la sua forza emotiva.
Sarà per questo che se la poca originalità dello spunto di partenza si perdona a tutto il primo tempo per l’impiattamento narrativo e visuale, correndo verso il finale affiora la noia e i cliché appesantiscono il film.
Hunger: un menù sfizioso che non sa chiudere bene
Hunger di Sitisiri Mongkolsiri è un film che parte da premesse buone, ha un incipit ottimo e una partenza fortissima, ma poi perde le forze lungo la strada: la sceneggiatura avrebbe dovuto prosciugare di più gli eventi e concentrarsi di più sui suoi punti di forza, tanto che neanche una buona regia riesce a salvare il film. Ottima la fotografia, bravi gli interpreti.