Hybris: recensione

Quattro amici, una casa sperduta ed episodi misteriosi. Lo so cosa state pensando: il solito film horror! Eppure vi garantisco che Hybris, l’opera prima del ventunenne napoletano Giuseppe Francesco Maione, con Guglielmo Scilla, Lorenzo Richelmy, Claudia Genolini e Tommaso Arnaldi, è molto di più.
Riprendendo le redini di una tradizione cinematografica di genere che ha lasciato il segno con registi quali Dario Argento e Lamberto Bava, per poi traghettare oltreoceano nel filone pellicolare di Sam Raimi con Evil dead; la Mirelatives Pictures (fondata da Tommaso Arnaldi, classe 1987) si butta a capofitto in una produzione dai tratti alquanto noti, svecchiati però dalla presenza di un cast giovane e fresco, da una macchina da presa che sa muoversi con fugacità e maestria e chiaramente da una miscellanea di dinamiche rubate al grande schermo, in grado di incastrarsi perfettamente e comporre un’opera godibile e singolare.

Hybris

La linea rosso sangue che apre le danze della storia è racchiusa in una manciata di righe nelle quali si esplicano il significato e la natura del termine Hybris: non solo tracotanza, eccesso, superbia, bensì anche prosecuzione di un evento negativo che, dall’oblio del passato, torna continuamente a perseguitare il presente. Una sorta di maledizione, se vogliamo, che si consuma appunto tra le mura di una casa sperduta nella quale quattro giovani amici – Alessio (Guglielmo Scilla, meglio noto come Willwoosh), Fabio (Lorenzo Richelmy), Marco (Tommaso Arnaldi) e Penelope (Claudia Genolini) – si recano per volere del defunto Valerio. Il loro incontro appare burrascoso fin dal principio, ma la ragnatela di rancori, memorie e sentimenti incestuosi si incrinerà nel momento in cui appureranno la scomparsa di porte e finestre.
Chi è il colpevole? Difficile dirlo quando credi di conoscere la vera identità dei tuoi amici.

Una storia che scorre abbastanza fluidamente, tenendo incollati gli spettatori alla poltrona non grazie a motoseghe e scene di splatter gratuite, bensì scendendo negli inferi dell’anima e lasciando emergere quella parte oscura che tutti, più o meno, sanno tirare fuori. A trainare i cavalli verso lo scatafascio nessun demone fisico e nessuna battuta che classifichi i protagonisti come degli idioti, piuttosto molta immedesimazione/allucinazione e spasmodica mancanza di fiducia verso il prossimo.
In Hybris si scorge altresì un piccolo accenno alla filmografia del possedimento di oggetti, ma è un tema che svanisce prima ancora di iniziare. La colonna sonora, composta dal giovanissimo Giordano Maselli, sa essere puntuale e avvincente.

Hybris

Un’opera che, sulla carta stampata, sembra classificarsi come uno dei tanti spin-off partoriti negli anni addietro, ma che passeggia in bilico tra l‘horror e il thriller, coronando la storia del cinema odierno con l’aura tenace, competente e coraggiosa di una manciata di giovani che, senza la pretesa di emulare i loro cine-idoli, fanno ingresso in punta di piedi nel mondo della settima arte.
Questo dobbiamo anticiparlo: la mancanza di fiducia conduce dritti alla morte quindi, dal 28 maggio 2015, fidatevi dei giovani e andate al cinema; rimarrete basiti di quanta competenza si nasconde in un ventunenne autodidatta e nella sua troupe!

Vedi le interviste video a Giuseppe Maione, Tomamso Arnaldi e Claudia Genolini

 

Giudizio Horror House

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.8

Voto Finale