Hypnotic: recensione del film di Robert Rodriguez
È curioso che Robert Rodriguez si sia portato dietro per vent’anni questo film, attenendo il momento giusto per poterlo realizzare. Un progetto personalissimo, eppure fortemente contaminato dai toni e dalle estetiche di sei cineasti estremamente differenti tra loro come Alfred Hitchcock, Michael Mann, Jack Sholder, John Woo, Michael Bay e Christopher Nolan, le cui cinematografiche si incontrano e confondono in un puzzle complesso e stratificato, dalle intuizioni registiche sorprendenti e audaci, ma dalla soluzione finale ormai vecchia di almeno un decennio. Un thriller della mente fuori tempo massimo che intrattiene e coinvolge, pur non convincendo appieno e risultando in tutto e per tutto un vero titolo da drive-in estivo, dagli interpreti gigioni e nient’affatto incisivi, ma dalla narrazione colma e stracolma di plot twist da averne abbastanza per almeno vent’anni
Dagli inizi ormai, Robert Rodriguez, il celebre regista di Sin City e Machete, nonché amico di una vita di Quentin Tarantino, sognava di realizzare per il cinema, Hypnotic, il suo progetto più personale, complesso e debitore di una lunghissima serie di riferimenti che Rodriguez non nasconde in nessun modo, piuttosto esplicitandoli, come Tarantino d’altronde ha sempre insegnato, rischiando tuttavia di affossare il suo stesso film, incurante di una struttura così fieramente complessa, da non esserlo probabilmente come avrebbe dovuto, ed è un vero peccato.
Eppure Hypnotic va fino in fondo e richiamando alla memoria di ciascuno spettatore la cinematografia di alcuni autori estremamente differenti tra loro come: Alfred Hitchcock (Vertigo), Michael Mann (Heat), Jack Sholder (L’alieno), John Woo (Paycheck), Michael Bay (The Island) e Christopher Nolan (Memento), dà vita ad un bizzarro e atipico mix rispettando ciascuna di queste voci e sguardi, realizzando un high-concept movie dai linguaggi e dalla forma ancora una volta decisamente contaminati, a metà strada tra B Movie e serialità da piattaforma.
La memoria e ciò che resta di noi
Con una prima parte fortemente adrenalinica che cala fin dal primo istante lo spettatore in un mondo simil distopico di gialli e grigi acutissimi, tra rapine in banca, inseguimenti, manipolazioni mentali e sparizioni, Robert Rodriguez dà il via ad un gioco a due – e poco dopo a tre – che vede coinvolti il disilluso e distrutto detective della polizia Rourke (Ben Affleck) e la misteriosa sensitiva Diana Cruz (Alice Braga).
Due pedine di un gioco ben più complesso e stratificato che a partire dal rapimento della figlioletta di Rourke, Minnie (Hala Finley), davanti ai suoi stessi occhi, muta ben presto in una realtà molto più direttamente spionistica e sci-fi, che vede coinvolti il Governo degli Stati Uniti d’America ed una pericolosa organizzazione chiamata La Divisione, formata da potenti manipolatori della mente ed esperti informatici, di cui è membro la terza fondamentale pedina di questo film, Dellrayne (William Fichtner), colui che vorrebbe prendere il controllo della Divisione ed in seguito manipolare il mondo intero, piegandolo inevitabilmente dinanzi alle sue volontà.
D’altronde Ben Affleck, il protagonista assoluto di questo film atipico, eppure interessante, non è nuovo al tema della manipolazione mentale, basti ricordare infatti quel Paycheck di John Woo, ingiustamente bistrattato, nonostante una gestione dell’action incredibilmente interessante e ansiogena.
Titolo al quale Rodriguez non nasconde di rivolgere ben più di qualche sguardo, mutando però radicalmente toni ed estetiche. Laddove infatti Paycheck resta debitorio di un estetismo tipicamente Spielberghiano nato con Minority Reporter, e composto essenzialmente da un pattern fantascientifico e d’immagine poggiato su tracce di colore azzurre, bianche e poi nerissime, Hypnotic preferisce a tutto questo una dimensione estremamente più povera e grezza che poggia su grigi e gialli accesi, come fosse desertico, afoso e asfissiante.
Nonostante questa differente impronta autoriale, l’aspetto sentimentale ed emotivo del film di Woo sopravvive, seppur mutata radicalmente, divenendo per Hypnotic niente più di una sottotrama dallo scarso interesse, perfino al raggiungimento dello svelamento, di uno dei tanti plot twist del film.
Ben Affleck e la manipolazione, in un film che mette a confronto umanità e intelligenza artificiale
Hypnotic riflettendo sul concetto di fallibilità, manipolazione mentale, lavaggio del cervello, reset e centralità della famiglia nella vita di ogni uomo, mette a confronto umani e realtà digitali – o informatiche -, proponendo un incontro a metà strada tra noi e loro, nessun abbandono, soltanto distanza. Meglio i sentimenti e i ricordi della nostra mente e dei nostri cuori, che un intero hard disk o database di codici e dati leggibili unicamente da un supporto terzo.
Il film che meno sembrerebbe appartenere alle corde della filmografia pop di Robert Rodriguez, profondamente contaminata rispetto ai generi, e debitrice di un linguaggio fumettistico e da puro divertissement, è in realtà il più personale, complesso, stratificato e se possibile acuto progetto che Rodriguez abbia mai firmato.
Se questa potrebbe apparire in un primo momento come una notizia positiva e da accogliere con grande sorpresa, procedendo alla visione di Hypnotic ci si rende presto conto che la verità è un’altra, e che per quanto il film ce la metta tutta pur di coinvolgere e attirare lo spettatore in un puzzle e rompicapo di indubbia complessità e attrattiva – nonostante il suo interprete protagonista ne affossi ogni benché minima forma di tensione e dramma – nulla, o quasi, sembra rispondere ad un’idea di cinema originale, fresca e personale.
Il ventesimo lungometraggio di carriera di Robert Rodriguez è infatti un film incredibilmente vecchio e fuori tempo massimo, che facendo suoi i linguaggi fracassoni, spettacolari, esplosivi, perciò estranei del cinema di Bay – ben lontani dalla sensibilità di un autore del quale in passato abbiamo amato titoli come The Faculty, Sin City e Planet Terror – modella una narrazione tutto sommato esile affinché questa possa in qualche modo apparire come una versione chiaramente più action, ma non meno complessa di un film come Memento di Christopher Nolan, centrato su ben altre forme e linguaggi.
Nonostante alcune sporadiche, audaci e davvero sorprendenti intuizioni registiche – non scordiamoci infatti chi è Robert Rodriguez ancora oggi – e di scrittura, basti pensare alla riflessione sul legame tra costrutto ipnotico e risultato politico e di massa, la stratificazione narrativa di Hypnotic, fiera a tal punto della propria complessità costruita via via su battute di dialogo sempre più macchinose e impegnative, da ritrovarsi costretta a gestire uno spiegone finale che chiunque avrebbe preferito evitarsi, e che rispolvera un mix di linguaggi televisivi e poi da videogame tragicamente gestito.
Hypnotic: valutazione e conclusione
Un film interessante sul piano della stilistica, i cui problemi più evidenti risultano essere l’interpretazione mono espressiva di Ben Affleck, fin troppo accomodata su di un registro stancamente apatico, e poi sardonicamente – o scioccamente – gigioneggiante, ed una scrittura ai limiti del dozzinale, che sembra rispettare una lunga serie di dettami affinché il tutto risulti essere in definitiva complesso.
La versione cinematografica di Nolan, Mann, Hitchcock e Bay sotto steroidi che mai avremmo pensato di vedere, eppure Rodriguez ci è riuscito. In Hypnotic non ci sono luoghi, né background, né volti, soltanto dinamismo e triggers (indizi), come protagonisti ed elementi assoluti di un gioco in scatola che costruisce e decostruisce continuamente ed instancabilmente la propria natura e forma, tutto purché le carte si complichino o confondano.
Una vana speranza che riesce realmente una volta su dieci e che rende Hypnotic una lontana bozza, o idea, di ciò che avrebbe dovuto essere e che di fatto non è stato.
Hypnotic è al cinema a partire da giovedì 6 luglio 2023, distribuito da 01 Distribution.