I am Martin Parr: recensione di un documentario celebrativo
I Am Martin Parr si presta a essere il documentario attraverso cui molti racconteranno la storia del celebre fotografo britannico Martin Parr, soggetto che è divenuto celebre tanto per il suo sguardo dissacrante, quanto per la sua capacità di immortalare con una certa ironia la classe lavorativa del Regno Unito. Diretta da Lee Shulman, l’opera è la quintessenza del reportage didascalico da presentare in scuole e musei: presenta un ritratto curato dell’artista, tuttavia i suoi contenuti sono estremamente superficiali e faziosi, favoriscono una lettura unidimensionalmente positiva a un’analisi sfaccettata. Il documentario va dunque preso così com’è, accettando la natura smaccatamente celebrativa e tollerando la sua incapacità a scavare nelle contraddizioni e nelle zone d’ombra che caratterizzano il lavoro del complesso personaggio.
L’ “io” in I am Martin Parr
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Martin Parr possiede il merito innegabile di aver saputo cogliere e trasfigurare il quotidiano adottando una prospettiva nuova e straniante. Dalle scene di svago nelle località balneari britanniche alle immagini crude della società post-industriale, il fotografo trasforma la normalità in un caleidoscopio di tinte paradossali, vibranti, ironiche e, a tratti, persino patetiche. Tuttavia, mentre i suoi scatti aprono spunti di riflessione e svelano momenti di verità amara, l’opera filmica di Shulman si astiene dal dilungarsi su queste sfumature, preferendo concentrare l’attenzione sul lato “umano” e quasi paterno dell’artista. Il documentario mostra un Parr sempre sorridente, affabile e apparentemente immune dalle critiche più dure, contribuendo così a forgiare un’immagine rassicurante e, in parte, sterilizzata del fotografo.
La lettura proposta dal film è esplicita: Martin Parr è ritratto come un genio e un brav’uomo e chiunque non condivida questa visione viene etichettato come incapace di comprendere la sua indole eccentrica o, peggio, come uno snob elitista. Le testimonianze raccolte all’interno della Martin Parr Foundation e quelle di fotografi e artisti vicini alla sua sensibilità si concentrano esclusivamente su aspetti positivi, ignorando in gran parte le critiche dei detrattori. Da questi interventi emerge un ritratto di un uomo dal carattere schivo, ironico e concentrato sul proprio lavoro, interessato ai soggetti fotografati solo in quanto elementi di un’immagine studiata, ma le potenzialità di tale complessità personale vengono lasciate in ombra e non approfondite: ogni sfumatura di una personalità articolata viene esiliata in nome di un’omologazione narrativa.
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Una direzione lineare a colpi di punk
Fatta questa premessa, va riconosciuto che I Am Martin Parr è un documentario di grande fruibilità. Shulman adotta una narrazione lineare e cronologica, che rende il racconto immediatamente accessibile anche a un pubblico non esperto. La maestria tecnica del regista si manifesta nell’impiego accurato delle immagini d’archivio e nelle interviste che contestualizzano l’evoluzione della fotografia di Parr, sottolineando le dinamiche sociali e storiche che hanno contribuito a definire il valore culturale dell’artista. Il coinvolgimento della Martin Parr Foundation permette d’altronde di attingere a una ricca collezione di reperti fotografici, tuttavia i legami con la fondazione vanno a loro volta a rafforzare una narrazione prestabilita dalle tinte promozionali.
Pur garantendo una struttura facilmente fruibile, l’approccio finisce immancabilmente con il risultare eccessivamente prevedibile e persino martellante. Le sequenze si susseguono senza grosse sorprese, favorendo una fruizione passiva che invita lo spettatore ad accettare senza riflessione la visione del fotografo come un’icona incontestabile. La narrazione manca del rischio creativo di instaurare un dialogo critico tra le varie voci del mondo dell’arte, rinunciando così a un confronto dinamico e polifonico. In questo modo, il documentario, pur essendo tecnicamente valido, si riduce a una semplice esposizione di immagini e testimonianze, privandosi della possibilità di stimolare un dibattito autentico sulle contraddizioni intrinseche all’opera di Parr.
Sovraesposizione priva di sfumature
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Sul fronte visivo, I Am Martin Parr si distingue per una cura tecnica innegabile: le inquadrature sono ben studiate, l’uso del colore è sapiente e le sequenze sono ambientate in location emblematiche, come le classiche spiagge britanniche e i contesti di vita quotidiana, che esaltano la bellezza e la banalità del quotidiano. Il montaggio si rivela particolarmente efficace, ritmando a colpi di musica punk l’alternanza tra fotografie storiche e riprese dei momenti lavorativi dell’artista, creando una dialettica estetica che cattura l’attenzione dello spettatore.
Le riprese, spesso studiate per replicare l’estetica distintiva di Parr, rendono l’artista protagonista non solo del contenuto fotografico, ma anche del codice compositivo che ha caratterizzato il suo operato. Questo approccio, però, si configura come un’arma a doppio taglio: se da un lato esso contribuisce a creare una coerenza stilistico-narrativa evidente, dall’altro tende a impoverire il dialogo critico, annullando la possibilità di un confronto tra diverse visioni artistiche. Shulman, nel tentativo di omologare la sua narrazione a quella del fotografo, si trasforma in un simulacro imperfetto dello stesso, rinunciando in maniera radicale a proporre una riflessione personale e autoriale.
L’ascesa di un’icona pop
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Il crescente successo di Martin Parr, testimoniato dalle recenti esposizioni del MUDEC di Milano e del Museo Civico Archeologico di Bologna, ha contribuito a trasformare il fotografo in una figura “pop”, capace di attrarre anche chi non è tradizionalmente appassionato di arte. In questo contesto, I Am Martin Parr si presenta come un punto di ingresso docile e rassicurante, attraverso il quale il grande pubblico può apprendere come abbia fatto un singolo uomo a diventare celebre per foto di gabbiani affamati, di hamburger addentati e di gente comune che prende il sole sulle ciottolose rive di Brighton.
La forza di Parr risiede proprio nella capacità di evidenziare il grottesco e l’assurdo di una mondanità ormai banalizzata. Oppure, volendo invertire i fattori, si può sostenere che il suo talento sia quello di estetizzare un’imbruttimento quotidiano per perseguire una nuova concezione di bellezza, libera dai condizionamenti dei canoni imposti dalla classe dominante. Il fotografo è celebre per saper cogliere attimi di verità amara e, a volte, inquietante, creando paradossi morali e culturali la cui interpretazione dipende fortemente dalla prospettiva di chi osserva.
La posizione di Shulman in merito è ovvia: opta per una narrazione rassicurante, in cui l’artista appare come un gentiluomo modesto e bonario, naturalmente sovversivo, ma poco incline a impegnarsi nella creazione di contenuti politici. In un’epoca in cui il rapporto tra arte e potere è oggetto di vivace dibattito, il film preferisce presentare un’immagine del fotografo che rassicura e intrattiene, piuttosto che sfidare lo spettatore con interrogativi scomodi. Le immagini e le testimonianze, pur suggerendo una realtà più complessa, vengono comunque filtrate da una regia che non si preoccupa di approfondire quelle contraddizioni che potrebbero offrire una visione più articolata e critica del fenomeno Martin Parr.
I am Martin Parr: valutazione e conclusione
I Am Martin Parr si rivela dunque un documentario ambizioso dal punto di vista visivo e tecnico, capace di ricreare con cura l’atmosfera e il contesto che hanno reso celebre il fotografo britannico. Tuttavia, questa stessa cura estetica finisce per rivelare una profonda mancanza di impegno critico: il film adotta una prospettiva compiacente, evitando di interrogarsi sui limiti etici e culturali insiti nell’opera di Parr. Il risultato è un ritratto che, pur intrattenendo e affascinando grazie alla ricchezza delle immagini e alla fluidità della narrazione, lascia lo spettatore con una sensazione di incompletezza e di mancata capacità di confrontare le proprie ambivalenze.
Diretto da Lee Shulman, I Am Martin Parr, è distribuito in Italia da Wanted Cinema, realtà che lo sta portando in questi giorni in un numero ristretto di cinema italiani.