I bastardi di Pizzofalcone: recensione della serie con Alessandro Gassmann
Con la puntata di ieri sera, premiatissima come tutta la serie dagli ascolti, si è conclusa la serie televisiva Rai I bastardi di Pizzofalcone.
I bastardi di Pizzofalcone: una storia di contrasti e di suspance in grado di catalizzare gli spettatori.
Diretta da Carlo Carlei e interpretata da Alessandro Gassman e Carolina Crescentini, I Bastardi di Pizzofalcone è la traduzione televisiva della raccolta dei gialli di Maurizio De Giovanni (Bastardi di Pizzofalcone, Buio e Gelo). Con il benestare dei lettori di De Giovanni, la serie – analogamente ad altri esempi di traduzione in immagini – riesce a non togliere, se non in termini meramente quantitativi, qualità alle narrazioni letterarie.
Un fattore non di poca importanza visto che la materia che riguarda il racconto contemporaneo della criminalità organizzata ha sempre un suo pubblico pronto a puntare il dito e a storcere il naso.
I bastardi di Pizzofalcone, in onda su un canale generalista, o meglio sul primo canale della Rai, ha con il suo carattere visivamente retrò conquistato il pubblico proponendo una Napoli luminosa anche se – sempre e comunque – locations suo malgrado di crimini e delinquenza. Il confronto con Gomorra – La Serie è inevitabile: non c’è buio, non c’è efferatezza, non c’è violenza spiattellata e colorata di rosso come colore del sangue e nero come colore di rabbia. C’è altro ma non per questo è una messa in scena forgiata ipocritamente di buonismo. Nella diversità espressiva messa in campo dalla narrazione de I bastardi viene fuori un equilibrio tra rappresentazione descrittiva e creatività soggettiva – proveniente dai reparti di sceneggiatura e regia – che è apprezzabile in quanto lucido e programmatico.
Il merito più grande individuato ne I bastardi di Pizzofalcone è certamente quello di comprimere in un’unico raggio spaziale e temporale – che la serie a differenza dei romanzi ambienta ai giorni nostri – realtà distanti eppure visceralmente unite. Il paradigma sociale e culturale è quello che vede Napoli, una città come tutte le altre eppure come nessun altra, come un territorio umano teatro in cui palcoscenico e platea non hanno alcuna separazione. De Giovanni questa cosa la conosce bene, è evidente, e il regista Carlei – tramite uno sguardo ampio e disteso – ha provato a tramutarlo in scene. Ottenendo un buon risultato.
L’aspetto multiculturale formato da diversi ceti sociale è centrale nel pensiero del protagonista de I bastardi, l’ispettore Lojacono – interpretato da un empirico Alessandro Gassmann in buona forma al punto da riecheggiare il padre Vittorio. Un uomo punito a causa di presunte infiltrazioni mafiose ai tempi in cui prestava servizio in Sicilia che si ritrova in una distretto, quello di Pizzofalcone, in cui può confrontarsi con colleghi che vivono o hanno vissuto la medesima condizione. Tra gli interpreti intorno a Gassman risaltano certamente nomi come Simona Tabasco, cruda e verace, e Antonio Folletto, nei panni di Alessandra e Marco. Chi rimane impelagata in una leggermente inappropriata interpretazione è Carolina Crescentini, la sua Laura Piras pecca di una convenzionalità che stride, sul piano emozionale, con il contesto e con il resto del cast.
I bastardi di Pizzofalcone è, in conclusione, un racconto che mediante l’uso di una narrazione strategica amplifica l’immaginario già corposo della napoletanità (e non della napoletaneria) e ne restituisce allo spettatore – non solo generalista – uno degli aspetti del suo essere multiforme. Come sempre, nel bene e nel male.