I due Papi: recensione del film Netflix con Anthony Hopkins
Con I due Papi Fernando Meirelles tenta di umanizzare il complesso ambiente vaticano e la relazione tra Papa Benedetto XVI e Jorge Bergoglio.
Un passo di Tango, una canzone degli Abba, una partita di calcio. Questo è quel che resta fortemente nella mente alla visione di un film su due Papi; attimi di condivisione, di colloquialità, in cui essere Papa non è più il centro della narrazione: è nel mezzo pur essendo fuori dall’interesse dialettico.
I due Papi, diretto da Fernando Meirelles e sceneggiato da Anthony McCarten, ci permette di assistere all’incontro tra Papa Francesco e Papa Benedetto XVI, interpretati rispettivamente da Jonathan Pryce e Anthony Hopkins. Quando il cardinale Bergoglio si reca in visita a Roma da Papa Benedetto XVI nel 2012, l’obiettivo è quello di dimettersi. Con sua grande sorpresa il Papa non solo gli nega le dimissioni, ma gli confessa di volersi dimettere dal suo incarico e di voler nominare lui come suo successore.
Anthony Hopkins e Jonathan Pryce sono Papa Benedetto XVI e Jorge Bergoglio in I due Papi
I due Papi ci racconta l’incontro al vertice di questi due uomini: Benedetto, l’ex cardinale Joseph Ratzinger, un uomo fortemente conservatore, sia socialmente che teologicamente e Bergoglio, cresciuto in una famiglia povera a Buenos Aires, noto per la flessibilità, il liberalismo e il suo modo umile di vivere, senza ostentazione.
Non è affatto certo che i due uomini si siano incontrati per un certo periodo di tempo, misurandosi in lunghe discussioni intime, personali. Sembra plausibile che ci sia stato un tête-à-tête papale. Ed è questa la domanda a cui si tenta di rispondere: cosa è accaduto tra questi due uomini prima che Joseph Ratzinger decidesse di abdicare, quasi senza precedenti? L’idea di una fallibilità papale è interessante.
Conosciamo Bergoglio meglio di Ratzinger, anche in riferimento al suo passato di cui cova un percepibile senso di colpa, ma nel film non si fa mai accezione allo scandalo degli abusi sacerdotali: la Chiesa cattolica negli ultimi anni non ha proiettato esattamente l’immagine di sé più invitante, e sarebbe stato quasi eroico immaginare che questa sarebbe potuta essere l’occasione per toccare tematiche critiche e spinose che hanno coinvolto l’autorità papale. Il film di certo non va in controtendenza e sceglie di offrire una certa protezione nei riguardi di queste questioni: quando è il turno di Ratzinger di confessarsi a Bergoglio, presumibilmente sullo scandalo degli abusi, il dialogo si attenua.
I due papi resta in superficie, tentando di umanizzare e semplificare il complesso mondo del Vaticano
I due Papi preferisce rimanere in superficie dove è sicuro di non sbagliare. Preferisce mitigare e lasciare dialogare due uomini di fede sul senso di colpa, sul proprio passato (parziale) ma anche di calcio, di musica (Ratzinger è un bravo pianista oltre a essere un cultore della musica classica). La più alta capacità di Fernando Meirelles è quella di umanizzare un mondo insulare, esclusivo, diviso, che è il mondo Vaticano fino a renderlo più accessibile, pur limitandosi fortemente nell’intenzione di scavare in profondità, dove sarebbe stato più stimolante addentrarsi. È una sfida avvincente quella di voler trasformare l’epicentro dell’autorità religiosa in un territorio eloquente, espressivo, quasi chiacchierone.
Fernando Meirelles sicuramente ha scelto un cammino semplificato, poco spinoso e critico per raccontare la storia di questo incontro papale, cimentandosi in quella che si può tranquillamente considerare come un’agiografia semplicistica di due Papi che hanno avuto problemi considerevoli con la propria leadership, il primo bramandola fortemente e dovendoci rinunciare, il secondo ottenendola senza averla mai cercata. Un’interessante metafora sul potere che, come ricorda un collega cardinale, citando Platone, è anche la forma più qualificante per qualsiasi leader, ovvero non volerlo essere affatto.
I due papi è in uscita su Netflix il 20 dicembre su Netflix.