I fratelli Menendez: recensione del film di Alejandro Hartmann

Erik e Lyle Menendez sono dietro le sbarre da più di tre decenni per aver ucciso i loro genitori, grazie o a causa della serie Netflix Monsters di Ryan Murphy, i fratelli e la loro storia sono tornati ad essere centrali nell’opinione pubblica, non solo in America ma in tutto il mondo. Come capita spesso quando si tratta di questi casi, il pubblico si schiera: Erik e Lyle sono vittime o carnefici? O sono entrambe le cose insieme? Tutti sono psicologi, avvocati, giornalisti, chiunque può dire, pensare, avere la sua idea sui fratelli Menendez colpevoli, secondo la giustizia di aver ucciso i loro genitori. Il tema è talmente caldo ancora che, il 7 ottobre 2024, il catalogo Netflix si arricchisce di un nuovo titolo, il documentario I fratelli Menendez di Alejandro Hartmann, che vede parlare per la prima volta Erik e Lyle, direttamente dalle loro celle.

I fratelli Menendez: la voce dei colpevoli accompagna lo spettatore nella narrazione

“Erik e Lyle Menendez, i famigerati fratelli. Stasera ascolterete la loro storia, seguiteci e potrete raggiungere il vostro verdetto”

Queste parole, dette da una giornalista, possono essere il centro del racconto. Raggiungere il proprio verdetto, qualcosa di importante, di necessario per vivere ma dall’altra parte anche pericoloso. La nuova serie di Ryan Murphy riaccende un intenso movimento social intorno a loro, la storia è nota: i due fratelli, provenienti da una delle famiglie più agiate di Beverly Hills, nel 1989 uccidono entrambi i genitori. Il processo sostiene che l’hanno fatto per i soldi, anche se le loro testimonianze parlano di terribili abusi perpetrati fin dalla tenera età da parte del padre. Condannati all’ergastolo, i due, oggi rispettivamente dell’età di 56 e 53 anni, sono stati al centro di innumerevoli trasposizioni televisive. Non avevano però mai raccontato la loro storia, in I fratelli Menendez si sente per la prima volta la loro voce, la loro versione. Il film documentario si costruisce sulle interviste audio rilasciate da Lyle e Erik dal Richard J. Donovan Correctional Facility, carcere in cui stanno scontando la loro pena, e sui ricordi di chi ha lavoro su quel caso, avvocati coinvolti nel processo, giornalisti che hanno seguito la vicenda, giurati, famigliari e osservatori informati. Lo spettatore può conoscere nuovi elementi, nuovi punti di vista che riguardano il caso dei Menendez. Il regista argentino Alejandro Hartmann che ha già realizzato altri documentari su crimini, accende i riflettori sui fatti accaduti il 20 agosto 1989.

Il centro del racconto è il perché, non il chi

Lyle: “Tutti si chiedono perché abbiamo ucciso i nostri genitori”

Il centro è questo. Non si tratta di scoprire chi è il colpevole, Lyle e Erik hanno ucciso i loro genitori? Ma c’è qualcosa di più profondo e difficile da accettare: perché?

Non ci sono dubbi sul fatto che i due fratelli un giorno sono tornati a casa con l’intento di uccidere coloro che li hanno generati e lo hanno fatto veramente, ciò che già appare evidente nella serie Netflix, viene narrato ancora con maggior forza nel documentario perché tra le immagini di repertorio e la voce dei protagonisti si ascoltano gli assassini ricordare che molto di ciò che è accaduto quella notte non è stato detto ed Erik afferma: “Non siamo stati noi a raccontare la storia delle nostre vite. Due ragazzini non commettono questo crimine per soldi”. Potenti si ascoltano le parole di due uomini sulla cinquantina che fanno riemergere dalla memoria i giorni delle violenze subite, lo smarrimento per ciò che un bambino e un ragazzo non dovrebbero mai subire (a maggior ragione da parte di un genitore). I fratelli Menendez diventa anche un riflessione sul concetto di verità: quella giudiziaria, quella morale e quella mediatica. Ci sono poi Erik e Lyle che vogliono, e lo dicono senza mezzi termini, far sapere la “loro verità”, far sentire la loro voce. Non si può non interrogarsi dunque sul significato di verità, su quanto si possa mentire e su quanto sia difficile prendere posizione in un caso come questo che non può non smuovere anche l’emotività e l’empatia di chi assiste. 

Hartmann scandaglia e viviseziona nuovamente il caso, analizzando “decenni di materiale relativo al crimine e al successivo processo”. Su una linea del tempo che compare sullo schermo, si inseriscono le date più importanti e si compongono gli avvenimenti di una storia che ferisce e addolora comunque la si pensi. Due figli che uccidono il padre e la madre, due genitori che usavano violenza su di loro e tacevano fingendo di non vedere. La paura di Erik e Lyle e la paura dei due genitori. Da qualunque parte si stia e si guardi la storia comunque è una vicenda profondamente ingiusta, drammatica e difficile da ascoltare.

I fratelli Menendez: conclusione e valutazione

I fratelli Menendez con rigore “scientifico” e con dovizia di particolari ricostruisce ogni cosa e fa sentire chi non ha parlato. Inevitabilmente l’idea di sentire le voci e vedere le foto degli adulti Erik e Lyle tocca e turba. Inevitabilmente ci si schiera, due dei personaggi più popolari del momento – talmente tanto che il caso sembra essere ad una svolta, riducendo la pena dei due killer – che hanno acceso un dibattito sul tema degli abusi sessuali maschili sono protagonisti del racconto, si tratta di un documentario di parte, ha scelto a chi dare ascolto. Lo spettatore ascolta, guarda, raccoglie il materiale e cerca di farsi strada tra parole, immagine, testimonianze e ricordi. 

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3

Tags: Netflix