Roma FF18 – I limoni d’inverno: recensione del film di Caterina Carone
Christian De Sica e Teresa Saponangelo in un film sulla ricerca della possibilità di essere felici. I limoni d'inverno, regia di Caterina Carone, prima alla Festa del Cinema di Roma e poi nelle sale italiane dal 23 novembre 2023.
Per I limoni d’inverno il cammino è doppio: prima, la Festa del Cinema di Roma 2023, sezione Grand Public. Poi l’uscita in sala, distribuzione Europictures, prevista per il 23 novembre 2023. Regia di Caterina Carone, che sceneggia insieme a Mario Luridiana, Remo Tebaldi, Anna Pavignano, Alessio Galbati; si scrive bene anche, se non soprattutto, se si scrive in tanti. Caterina Carone di partenza è documentarista, qui all’opera seconda nei lungometraggi di finzione. Il primo film si chiamava Fräulein – Una fiaba d’inverno e anche lì il protagonista era Christian De Sica. La partner femminile di allora era Lucia Mascino, stavolta è il turno di Teresa Saponangelo. Un film sospeso tra tenerezza e malinconia, dramma e parentesi di umorismo, perchè la vita è un affare complesso. Una struttura lineare. Due terrazze, due balconi, Pietro ed Eleonora. Tanto basta.
I limoni d’inverno: un uomo, una donna. Un bisogno comune
Come il film si avvicina ai personaggi è un aspetto da tenere nella giusta considerazione. I limoni d’inverno è la storia di Pietro ed Eleonora, sono i protagonisti e non c’è nulla, esteticamente, narrativamente e spiritualmente, che segni una superiorità dell’uno sull’altra e viceversa. Il film però ha cura di non presentarli allo spettatore nello stesso modo e nello stesso momento: c’è un progressivo scivolamento dalla vita di lui a quella di lei, che ci fa scoprire i personaggi mentre i personaggi si scoprono a vicenda. Prima di tutto facciamo la conoscenza di Pietro (Christian De Sica).
Pietro è un professore di lettere in pensione, vive in un elegante attico in un bel quartiere di Roma, nella casa che un tempo era dei genitori. Sta scrivendo un libro che parla di donne misconosciute e tradite dalla società, ha una buona ragione per farlo e molta fretta di concludere, perché è arrivato a un punto della vita in cui bisogna sbrigarsi, c’è il rischio di scordare tante cose preziose. La vita di Pietro all’inizio del film è confinata a due rapporti a gradazione di intimità oscillante. C’è il fratello Domenico (Luca Lionello), che vive a Ostia in simbiosi con il mare ed è impegnato a rimettere in sesto una barca che sembra averne viste troppe. E Nicola (Francesco Bruni), il ragazzo che lavora al bar sotto casa e a cui Pietro fa da mentore.
Eleonora (Teresa Saponangelo) arriva all’improvviso. Occupa l’attico e la terrazza di fronte a quella di Pietro. Ambizioni d’artista un po’ perse per strada, fa da manager al marito fotografo Luca (Max Malatesta) e vorrebbe di più dalla vita. Eleonora scopre Pietro che nella sua terrazza tenta vanamente di ottenere limoni da una pianta di limone, non c’è niente da fare. È colpita dalla tenerezza, dalla dignità, dai risvolti dolceamari della personalità dell’uomo. Due solitudini si incontrano e imparano a comunicare sulla base di un bisogno comune: essere e sentirsi finalmente felici. Perché non lo sono. In maniera prima inconsapevole, poi sempre più lucida, si aiutano a vicenda. Eleonora, incoraggiata da Pietro, ricomincia a creare e a dipingere. Pietro va avanti con il libro e smette di aver paura di guardare in faccia la realtà.
Non la ricerca della felicità, ma la ricerca della possibilità di essere felici
Nulla di ridondante, di eccessivo, nel cuore del film e nella sua esteriorità. Caterina Carone mescola malinconia e accenni di umorismo mantenendo un approccio rigoroso, teso all’essenziale. La ricerca della felicità dei due protagonisti, più corretto dire della possibilità della felicità, è costruita sul non detto, sulle sfumature. Sulla seduzione ambigua dei sottintesi nascosti nei gesti e nelle parole. L’equilibrio di dramma e sorriso è possibile perché c’è una leggerezza di tocco che stempera i toni e impedisce al dolore di farsi morboso e autoreferenziale. E tiene a freno l’umorismo. Christian De Sica spoglia il suo popolarissimo personaggio cinematografico di velleità istrioniche e tormentoni, accettando in cambio fragilità e tenerezza. Pietro non è un ceffone provocatorio a una carriera di successo, un tardivo ripensamento e anche poco sincero; piuttosto un intelligente apertura a possibilità nuove e diverse. Una tendenza cominciata già da qualche anno.
Lo sostiene, si sostengono a vicenda, Teresa Saponangelo: una malinconia felicemente contaminata da positività e apertura alla vita. La “sua” Eleonora ha un segreto e molte pagine irrisolte nella vita, senza smettere di essere luminosa, anche nel dolore. I limoni d’inverno cerca ossessivamente la conciliazione di toni e atmosfere istintivamente in conflitto. È il modo più autentico per arrivare al cuore ambiguo e contraddittorio della vita: un’alchimia preziosa tra lacrime e sorrisi, inseguita con pudore e delicatezza, senza sovraccaricare la storia di eccessi pretenziosi. Caterina Carone mira all’essenziale.
I limoni d’inverno: valutazione e conclusione
Caterina Carone mira all’essenziale. L’immagine modellata su impronte di sobria eleganza, la psicologia dei protagonisti circoscritta da vuoti e silenzi che chiariscono e completano il quadro oltre la fisicità dei gesti e gli inganni delle parole. Circonda i suoi protagonisti di un cast di comprimari il cui arco narrativo è definito in modo conciso ma non superficiale. Contano le ragioni di tutti: il marito Max Malatesta che non si ferma mai, il fratello Luca Lionello e un insopprimibile bisogno di libertà. La pagina più intensa è quella riservata a Francesco Bruni, l’allievo che fa la pace con la vita di ieri per costruirsi un bel domani. I limoni d’inverno ha delle cose da dirci che riguardano la vita di persone ben oltre lo spettro anagrafico dei protagonisti. L’intelligenza della proposta contraddice il chiasso insensato di tanto cinema d’oggi. Forse, l’equilibrio più riuscito del film è l’accostamento provocatorio, ma autentico, tra la linearità dei bisogni (felicità, realizzazione) e l’ambiguo intreccio di sorriso e dolore.