I sette samurai: recensione del film di Akira Kurosawa

Dal 13 gennaio il capolavoro di Kurosawa torna al cinema.

La Cineteca di Bologna continua nella sua opera di riproposizione di grandi classici del passato restaurati. Ultimamente la sua attenzione si è concentrata su Akira Kurosawa. Dopo aver riportato sugli schermi, a ottobre, Yojimbo – la sfida del samurai (1961), Il 13 gennaio 2025 fa uscire, in contemporanea, ben quattro pellicole del maestro giapponese – quelle realizzate, come il film del ’61, per la Toho. Fra queste spicca I sette samurai del 1954.

I sette samurai Cinematographe.it

Il film è una delle opere fondamentali della storia del cinema. Ha imposto la figura del samurai nell’immaginario pop mondiale, ha modernizzato e rilanciato il genere jidai-geki (dramma storico), attraverso una serie di innovazioni derivate dal western fordiano e soprattutto ha fornito stilemi e spunti narrativi a una pletora infinita di prodotti audiovisivi derivativi, fra i quali l’ultimo, più deludente esempio, può essere rintracciato nella saga Rebel Moon (2023) di Zack Snyder.

Il Giappone dei samurai

La trama è nota. Siamo nel Giappone degli stati combattenti, attorno al 1587. Un villaggio di contadini, funestato dalle incursioni di una banda di predoni, ingaggia sette samurai senza padrone per organizzare la difesa del villaggio. I contadini possono offrire solo il vitto e l’alloggio come pagamento, ma i ronin, spinti ciascuno da motivazioni differenti e guidati dal saggio veterano di guerra, Kanbei, accettano la missione.
Il film si situa dopo la morte di Oda Nobunaga, signore feudale che provò a unificare il paese e subito prima dell’ascesa al potere dello shogunato Tokugawa. Cioè in un momento storico di passaggio e ridefinizione delle strutture sociali del Giappone feudale e dei ruoli delle sue classi, in particolar modo di quello della casta dei samurai. Con il periodo Edo (il regno Tokugawa) quest’ultima sarebbe diventata una sorta di burocrazia militare, mentre durante gli Stati combattenti la sua funzione militare sul campo era stata ancora predominante. La scelta di un tale momento di incertezza e confusione per una figura simbolo del Giappone, dei suoi valori e della sua identità nazionale è importante, poiché pone i protagonisti del film all’interno di un paradigma di cambiamento identitario, che va a toccare coordinate politiche e sociali del Giappone moderno. I samurai del titolo infatti sono dei ronin, guerrieri caduti in disgrazia e trasformati in mercenari, metafora più o meno esplicita di un Giappone moderno, anch’esso caduto in disgrazia a causa della sua alleanza col Reich e della conseguente sconfitta militare.

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Kurosawa riflette, attraverso la rievocazione storica, sul valore dello spirito nazionale/militare, idealizzato nel bushidō, ma da sempre ridotto a strumento di oppressione nelle mani di élite di potere indegne. Attraverso il rapporto allora che, nel film, si instaura fra chi è stato ingannato e sfruttato dal sistema di potere (i guerrieri senza più padrone e futuro) e le vittime di quello stesso sistema (i contadini), l’autore descrive un processo di rinegoziazione dei ruoli storici e sociali dei due gruppi. Tale processo conduce a una ridiscussione critica del sistema feudale – cioè della radice stessa dello spirito nazionale e nazionalista giapponese, basato su una forte gerarchizzazione sociale e sullo sfruttamento delle classi meno abbienti. Per mezzo di Kikuchiyo, contadino/idiot savant che si finge samurai, interpretato, non a caso, dall’attore feticcio del regista, Toshirō Mifune, Kurosawa dà voce alla necessità di riconoscere le ingiustizie del sistema di potere tradizionale e soprattutto a quella di abbattere le gerarchie fra classi.

I sette samurai: ridefinire l’azione al cinema

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La pellicola del maestro giapponese, al di là delle implicazioni culturali e politiche, è nota, inoltre, per aver fornito un modello estetico per il cinema action successivo. La battaglia finale fra contadini capeggiati dai samurai e banditi riesce, attraverso espedienti puramente cinematografici, a restituire la percezione delle dilatazioni e contrazioni temporali, tipiche di un’azione marziale, ridefinendo così la capacità del cinema di costruire un tempo della percezione diverso da quello comune, in grado di penetrare la verità emotiva di un evento. Fra gli espedienti che concorrono a un simile risultato va ricordato l’uso, pionieristico per i tempi, di diverse macchine da presa per inscenare le battaglie, così da fornire più punti di vista di una stessa azione. L’utilizzo dei jump cut e dei tagli in asse, marca tipica del cinema di Kurosawa, definisce invece un montaggio ritmato, in grado di rendere il tempo del racconto una funzione dell’azione, accentuandone il valore emotivo, oltre che la dinamicità.

I sette samurai: valutazione e conclusione

La fotografia, a sua volta, presenta una composizione rigorosa che sa giocare sia sulla profondità di campo, che sull’utilizzo di più piani del quadro, grazie al massiccio uso di lenti telescopiche. Così facendo il regista non solo riesce a restituire il valore collettivo delle singole azioni individuali, mostrando sempre l’interagire di più personaggi e parallelamente le conseguenze di singole azioni. Ma crea anche una ricostruzione storica che integra immagini costruite su modelli visivi derivati dalla pittura del periodo trattato, così da risultare contemporaneamente realistica e simbolica. Non a caso le figure del cerchio e del triangolo che compaiono nello stendardo degli eroi tornano a informare varie scelte compositive. Si tratta sempre di far convivere la totalità conclusa dell’individuo (il samurai) con la necessità di fare parte di una collettività, non più in termini gerarchici, ma in termini egalitari (il triangolo, che rappresenta l’unione con i contadini).

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Un’ultima nota va fatta sulla costruzione dei personaggi. Nonostante la loro grande quantità, il regista riesce a fornire spessore a ciascuno, caratterizzando vari tipi umani, a volte con veloci tocchi di regia – per esempio con primi piani che isolano il protagonista dall’ambiente nel caso di una personalità più individualista – altre con dialoghi profondi che forniscono dettagli caratteriali complessi – come nel caso di Kanbei.
Insomma I sette samurai è un capolavoro della settima arte, da ogni punto di vista e poterlo vedere nuovamente proiettato al cinema sarà un enorme piacere per ogni cinefilo.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

5