I tre giorni del Condor: recensione del thriller di Sydney Pollack

Materializzazione delle ansie dell'opinione pubblica del tempo, I tre giorni del Condor è una spietata critica alla corruzione dell'ambiente politico.

All’alba dello scandalo Watergate, scoppiato negli Stati Uniti nel 1972, il paesaggio socio-politico americano è determinato dall’oscurità delle ombre. In seguito alle dimissioni del presidente Richard Nixon, la patria dell’american dream si mostra come una nazione profondamente sconvolta, perennemente perplessa, totalmente sconfitta. Uscito nel 1975, I tre giorni del Condor si presenta come la visibile – e necessaria – materializzazione delle ansie e delle preoccupazioni che aleggiavano sull’opinione pubblica mondiale del tempo.

Coinvolgendo due attori acclamati dalla critica e dal pubblico internazionale – quali Robert Redford, protagonista assoluto del film, e Faye Dunaway –, Sydney Pollack costruisce una pellicola che, seppur fortemente legata al contesto storico dell’epoca,  appare ancora terribilmente attuale, riuscendo a stregare l’immaginazione di ogni spettatore. Anche di quello meno amante del genere cospirativo e del thriller.

I tre giorni del Condor, un capolavoro del cinema di spionaggio

I tre giorni del Condor Cinematographe.it

Il cupo silenzio di una Manhattan plumbea, incupita dalla tristezza che porta con sé l’inverno, viene tragicamente interrotto da una sparatoria. Tutti gli impiegati di una sezione della CIA impegnata in operazioni di OSINT – ovvero nell’attività “di raccolta di informazioni mediante la consultazione di fonti di pubblico accesso” – vengono sterminati. Rimane solo un sopravvissuto: Joseph Turner, conosciuto con il nome in codice  “Condor”, uscito dall’edificio per comprare la colazione.

Pervaso da un’ottica fortemente pessimistica, dalla quale emerge un’esplicita e rassegnata diffidenza nei confronti delle istituzioni governative, il capolavoro del thriller I tre giorni del Condor è dominato da una suspense che si snoda per l’intera durata della pellicola, coprendo la realtà con il velo deformante del sospetto. La tensione e l’eccitazione, elementi principali del film, contribuiscono a rievocare un’atmosfera di incertezza, di ansia, di attesa. Un’atmosfera che, a tratti febbrile e psicotica, permette allo spettatore di immedesimarsi, sovrapporsi e identificarsi nel personaggio interpretato da un magistrale Robert Redford, un uomo solo, indotto in un climax terribilmente stressante, in un vortice di preoccupazione e di inspiegabili timori.

Tratto da I sei giorni del Condor, romanzo dello statunitense James Grady, il film di Pollack è notoriamente considerato uno dei rappresentati più esemplari del cinema di spionaggio, riuscendo a fondere sapientemente tematiche prettamente politiche e questioni esistenziali.

I tre giorni del Condor, una pellicola che si muove sapientemente tra spionaggio e questioni esistenziali

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Delineando spietatamente la corruzione dell’ambiente politico americano, Sydney Pollack decide di porre al centro della sua ricerca cinematografica lo spionaggio e la tematica dell’abuso di potere da parte di coloro che lo detengono.
Attingendo direttamente dalla quotidianità di un’America distrutta dal complotto e dalle ombre che celavano misteriosamente la politica dell’epoca agli occhi della gente comune, il regista crea un crudo ed esplicito atto d’accusa, un’analisi critica che viviseziona asetticamente una società degradata, corrotta e destinata alla fatalità del collasso.

Tuttavia, l’appello politico contenuto in I tre giorni del Condor – che si delinea come un’allarmata sollecitazione che Pollack indirizza alla coscienza collettiva e all’opinione pubblica statunitense – si affiancata per tutta la durata del film a temi esistenziali: decidendo di non fermarsi solamente al manifesto sottotesto politico, il regista attribuisce alla pellicola un valore universale, un’interpretazione libera, sciolta dal contesto politico che l’ha ispirata.

Joseph Turner trasmuta in simbolo dell’uomo comune; dell’uomo impegnato in una lotta titanica che – interessando in un primo momento la partita del potere – si espande e ingloba ogni aspetto del vivere quotidiano; dell’uomo che sfida coraggiosamente, senza tirarsi indietro la crudele tragicità dell’esistenza, pur conscio di essere destinato ad una dura sconfitta. La limpidità della purezza contro la corruzione della malvagità.

Stonando con l’atmosfera natalizia in cui è inglobata la New York in cui agisce il protagonista, la prospettiva nichilista che regna all’interno del thriller contribuisce a rendere la pellicola una denuncia della condizione alienata dell’uomo, spaesato in un macrocosmo feroce che non vuole – e che non può – accettarlo. Una condizione che viene proiettata da Pollack nella scena di sesso tra Robert Redford e Faye Dunaway – che interpreta il personaggio di una fotografa –, attimi in cui viene imprigionata la brutalità del vivere e la furiosa disperazione che essa genera nell’individuo. Una condizione che si manifesta esplicitamente nelle fotografie realizzate dalla donna, fotografie che mostrano l’essenza nascosta delle cose.

Tra gli alberi spogli e le superficiali citazioni ad Heiddeger, le panchine vuote e i foschi cieli di novembre, I tre giorni del Condor diventa un discorso sulla solitudine dell’uomo. Solo di fronte alla società, solo di fronte alla politica, solo di fronte al mondo che lo circonda.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

4.1