I Tre Moschettieri – D’Artagnan: recensione del film di Martin Bourboulon
I Tre Moschettieri: D'Artagnan, adattamento del classico di Alexandre Dumas, in sala dal 6 aprile 2023, è insieme azione, sentimento e il fascino della rievocazione storica. Con Eva Green, Vincent Cassel, Louis Garrel e tanti altri.
Nel XXI secolo, c’è ancora posto per storie di cappa e spada? La domanda che agita il sonno de I Tre Moschettieri: D’Artagnan, regia di Martin Bourboulon, trova risposta più facilmente di quanto si pensi. Il film, in sala dal 6 aprile 2023 per una distribuzione Notorious Pictures, è l’adattamento, l’ennesimo, del classico di Alexandre Dumas, I Tre Moschettieri. Sceneggiatura di Matthieu Delaporte e Alexandre De La Patellière, primo di due capitoli perché la storia è densa assai di fatti e personaggi, operazione commerciale con un concept forte dietro. Vale a dire che qui non si tratta semplicemente di azione, adrenalina, bei costumi e un mucchio di spade. Occorre anche trovare il modo di giustificare la permanenza, nel nostro orizzonte cinematografico, di un tipo di storia che racconta molto del cinema di ieri e che non ha un lasciapassare automatico per il tempo presente.
La verità è che di storie così c’è sempre bisogno, sempre che gli si dia una forma (estetica, narrativa) capace di rileggerne, senza tradimenti, il battito in modo conforme alle esigenze e ai gusti del pubblico contemporaneo. Conforme, non appiattito. Vediamo di capire se e come il film ci riesce, tenendo a mente che almeno una battaglia l’ha vinta in partenza. Quella del cast. Eva Green, Vincent Cassel, Vicky Krieps, Romain Duris, François Civil, Pio Marmaï e Louis Garrel.
I Tre Moschettieri – D’Artagnan: un giovane guascone arriva a Parigi, teatro di numerosi intrighi
Charles D’Artagnan (François Civil) è un giovane guascone, a Parigi per diventare Moschettiere del Re. Spadaccino impareggiabile dal carattere impetuoso e piuttosto arrogante, un carattere che lo aiuta a tirarsi fuori dai guai con la stessa facilità con cui ce lo fa finire. Il viaggio non è dei più semplici, nel tentativo di salvare una ragazza da un rapimento finisce vittima di un’imboscata da cui si salva solo perché lo credono morto. Arrivato nella capitale, gli basta mezza giornata per giocarsi la vita e l’onore combinando tre (!) duelli con i gentiluomini Athos (Vincent Cassel), Porthos (Pio Marmaï) e Aramis (Romain Duris), dando contemporaneamente inizio al corteggiamento della bella Constance Bonacieux (Lyna Khoudry). Cameriera personale della Regina Anna d’Austria (Vicky Krieps), a sua volta sposata con il Re Luigi XIII (Louis Garrel). La Francia è un paese abbastanza turbolento, in quei tempi.
L’eco delle guerre di religione tra cattolici e protestanti non è sopito, sotto la cenere di una tregua forzata cova l’incendio di una nuova guerra, non aiuta che i sovrani manchino ancora di un erede legittimo e che, di fatto, a governare il paese siano le macchinazioni del perfido e astutissimo Cardinale Richelieu (Éric Ruf), nemico giurato dei Moschettieri. D’Artagnan non s’interessa di politica ma è costretto a occuparsene. Succede che Athos finisca in prigione, accusato dell’omicidio di una giovane donna. Non c’entra niente ma, dal grand’uomo che è, nutrendo un profondo rispetto per il sistema giudiziario francese, non ha nulla da obiettare all’arresto. Spetta agli altri tre trovare un modo per tenere la testa di Athos ben salda al suo posto, cioè poco sopra le spalle.
I Tre Moschettieri: D’Artagnan intreccia politica, azione e sentimento con naturalezza, senza dare allo spettatore il tempo di capire dove finisca l’una e comincino gli altri. Dietro questa cortina di delitti e intrighi si annida l’ingegno diabolico di Milady (Eva Green), seduttrice e assassina con diversi scheletri nell’armadio e un rapporto complicato con D’Artagnan; pur amando Constance, non può dirsi immune dal suo fascino. Milady cerca d’incastrare la Regina portandone alla luce la passione segreta per il Duca di Buckingham (Jacob Fortune-Lloyd), cui la donna ha fatto dono della sua collana più preziosa. La missione dei Moschettieri è doppia, anzi tripla. Salvare Athos, riportare in patria la collana per salvare l’onore della Regina, evitare che cattolici e protestanti mettano ancora una volta a ferro e fuoco il paese.
Come un classico della letteratura del XIX secolo, ambientato nel Seicento, diventa un film del 2023
I Tre Moschettieri è un romanzo d’appendice scritto da Alexandre Dumas nella prima metà dell’Ottocento, ambientato nel XVII secolo e dirottato, negli anni ’20 del XXI secolo, in un film in due parti, la prima delle quali si chiama I Tre Moschettieri: D’Artagnan. Un bel viaggio, non vi pare? L’eternità del successo di Dumas sta nella disinvolta armonia di azione, polpa sentimentale e rievocazione storica. A dare senso e omogeneità all’operazione letteraria una scrittura velocissima, implacabile, intrecciata a una cornice di valori universali quali lealtà, solidarietà e unione di fronte delle avversità. Si aggiunga una naturale propensione per l’avventura capace di parlare ai lettori di ogni epoca e età. Il cinema di cappa e spada, più in generale il cinema d’avventura classico, presupponeva un patto di sangue con il pubblico, da prendere molto sul serio: avventura, in cambio di uno stupore infantile di fronte alle meraviglie e alle emozioni della storia. L’età dell’innocenza.
In un’epoca di cinismo esasperato e saturazione delle proposte, in sala o in piattaforma, chiedere a chi guarda di accantonare i pregiudizi e tornare indietro, appropriandosi di ideali nobili, certo, ma anche un po’ datati, come la fratellanza cavalleresca, è complicato. Ma non impossibile. I Tre Moschettieri: D’Artagnan non si discosta dal modello originale nelle cose importanti. Affida a D’Artagnan il compito di traghettare lo spettatore nel cuore storia; il punto di vista è sempre quello del giovane e inesperto guascone appena arrivato nella grande città. Mantiene inalterata, il film, l’implacabile dignità di Athos, il fascino malandrino del gesuita seduttore Aramis, divertendosi a giocare con Porthos, allargandone la fame di vita e avventure in modo fluido.
Per il resto, cerca di infondere un respiro di modernità sulla storia rinfrescandone l’atmosfera, servendosi talvolta di convenzioni narrative tipiche del poliziesco o del thriller politico, vedere per credere. Il fascino pittorico della vita di corte tradisce un’attenzione alla forma in parte tradita dalle sequenze d’azione, più convenzionali e derivative. La cura per il dettaglio è notevole, dato il genere (commerciale) e le aspettative del pubblico. In attesa del sequel, il giudizio è monco e rimane, inevitabilmente, sospeso.
I Tre Moschettieri – D’Artagnan: conclusione e valutazione
Preservare l’integrità spirituale della storia modernizzandone il battito e rivedendo temi e psicologie è il senso dell’operazione di Martin Bourboulon e sceneggiatori. Una scommessa vinta a metà perché il film, pur attestandosi su uno standard di intrattenimento notevole, non ha il fuoco di una vera provocazione estetica e narrativa, sempre nei limiti di un cinema a trazione popolare. Con l’eccezione della divertita e malinconica caratterizzazione del Luigi XIII di Louis Garrel, va generalmente meglio alle donne del film. Mantengono uno spessore superiore a quello dei colleghi maschi. Vale per il trasformismo e il fascino perverso di Eva Green, per la dignità e la dolcezza della Regina Vicky Krieps, ma soprattutto per Lyna Khoudry, il cui personaggio vanta forse la riscrittura più interessante rispetto all’originale.