Il ballo dei 41: recensione del film Netflix di David Pablos
Disponibile su Netflix dal 12 maggio, il film di David Pablos fa emergere dalla storia della comunità LGBT sudamericana un fatto sconvolgente e simbolico accaduto esattamente 120 anni fa nel Messico governato da Díaz.
Prima che divenissero sublimazione allegorica del passato, i balli di società erano le opportunità più convenzionali a disposizione tra le classi abbienti, codificate per stringere o mantenere legami fra i membri del milieu più facoltoso. Quelle soirée erano dunque feste organizzate appositamente per conservare il proprio status, per stringere o siglare accordi che andavano anche oltre la politica e gli affari, diventando costume convenzionato del perbenismo di molte congreghe sociali.
Alla tradizione storica del ballo di fine ‘800, il regista messicano David Pablos sceglie stavolta di rivelarlo da un punto di vista radicale e discrepante rispetto alla convenzione popolare, mostrandoci l’altra faccia dei ritrovi sociali di fine secolo attraverso una storia vera che sconvolse il Messico nel 1901. Il ballo dei 41 sovverte i canoni della facciata conformista dell’alta borghesia, diventando, anche ma non solo, pretesto per confluire al Sud America odierno e alla sua oppressione machista e dispotica nei confronti della comunità LGBT.
Il ballo dei 41: storia di due amori (a loro modo) impossibili
Il film scritto da Minika Revilla è doppiamente la storia di un amore impossibile e la storia di uno infelice. La prima è quella consumata all’ombra e in clandestinità tra il deputato Ignacio de la Torre (Alfonso Herrera) e il giovane Evaristo Rivas (Emiliano Zurita); l’altra, segnata da un legame forzato e a suo modo anch’essa ugualmente impossibile, tra lo stesso Ignacio e la moglie Amada (Mabel Cadena), figlia dell’allora presidente del Messico Porfidio Díaz (Fernando Becerril). Il triangolo inizia a scriversi quando il protagonista, rampollo dell’alta società e aspirante governatore del paese, vede nel possibile legame con la figlia di Diaz l’inizio per una scalata sociale a suo favore, ritrovandosi di rimando costretto a nascondere la sua omosessualità.
La vera inclinazione sentimentale di Ignacio viene sguinzagliata e liberata esclusivamente durante le “lunghe cene” del club dei 41, un circolo segreto di uomini rispettabili e padri di famiglia che, tra la segretezza delle stanze a porte chiuse e dei ritrovi appartati a lume di candela, potevano amarsi tra loro senza alcuna mistificazione. Tra Ignacio e Evaristo scatta un’alchimia e un’intesa sessuale dilagante, i due iniziano a frequentarsi di nascosto e il loro legame è consumato in alternanza e in opposizione alla disperata solitudine di Amada e dal sentore della stessa del sollevarsi velato di pettegolezzi e maldicenze riguardo al loro rapporto sotto le lenzuola. Ed ecco che la notte tra il 17 e il 18 novembre del 1901, le autorità messicane bloccano una delle feste degli uomini molti di loro vestiti da donne tra cui il lo stesso de la Torre, gettando alla pubblica gogna ragazzi e signori di Calle de la Paz, decretando di fatto la fine atroce e tormentata dei due innamorati.
Luce e ombre nel Messico segreto d’inizio ‘900
Quella della retata del novembre di 120 anni fa, pur nella sua deflagrante emersione da un anonimato probabilmente scomodo al racconto del Messico e della sua società, per il regista Pablos sembra dunque essere occasione storiografica per parlare al presente, dischiudendo dalla corazza taciuta di un amore gay una sorta di messaggio universale all’amore libero e ugualitario. Concedendosi una certa libertà, tutto sommato necessaria alla veicolazione del discorso che va a diramare, il regista non nega alcun pudore nel mostrare nudità disinibita e ammirata di corpi maschili o di sequenze semi-grafiche di atti sessuali disgregati nel piacere e nel sentimento tra Ignacio ed Evaristo; e subito dopo insoddisfacenti e dolorosamente forzati tra i due coniugi.
Una dicotomia che si riversa anche nella chiara diversificazione sull’uso della luce, prima inondante e solare dalle ampie finestre della casa maritale e poi dal buio rintanato nell’ambiguità delle stanze del club maschile, tra candelabri e fiamme naturali. Di certo, l’impatto visivo del film, tra decor altisonanti e costumi di pregevole fattura artigianale, emerge in tutta la sua ricchezza e accuratezza, riconsegnando al pubblico una ricostruzione storica di innegabile portata.
Il ballo dei 41: tra modalità narrative formali e messaggio al presente
È piuttosto l’aver lavorato su convenzioni narrative già viste su tempi dilatati, della storia d’amore chimerica e iper sofferta poggiata su convenzioni e imposizioni sociali, che il film Netflix non spicca per originalità, bloccandosi su consuetudini diegetiche già note nei racconti di amore gay iscritti sulla dolente formalità sociale e omofoba, contro la nostalgica espressione sentimentale nel segreto appartato della propria intimità. Amori dunque proibiti e proibitivi a cui spetta un finale tragico e mortale per troncare, di fatto, la sua esistenza non consentita ed espirare la propria colpa. Pablos parla al presente tornando al passato, lasciando allo spettatore un finale amaro e congelato nel viso del suo protagonista, sospeso tra la Storia e il Presente, forse poi non così diverso.