Il ballo delle pazze: recensione del film di Mélanie Laurent
L'isteria raccontata nel film femminista di Mélanie Laurent, Il ballo delle pazze.
Mélanie Laurent torna alla regia con Il ballo delle pazze, un film tratto dal romanzo omonimo di Victoria Mas, vero e proprio caso editoriale in Francia. È disponibile alla visione sulla piattaforma streaming Amazon Prime Video dal 17 settembre 2021.
Parigi, 1885. Eugénie Cléry (Lou de Laâge) è giovane, bella e finemente abbigliata: tutto, nel suo aspetto, rivela l’estrazione altoborghese. Eppure, quando incontra a Montmatre un uomo, è più incuriosita dal libro che tiene in mano che dal suo volto. Lo sconosciuto rinuncia presto al corteggiamento, ma insiste per regalarle l’oggetto concupito: un volume sullo spiritismo. Eugénie, infatti, oltre a desiderare ardentemente di essere ammessa ‘da pari’ alla società delle lettere maschili, è in grado di stabilire un contatto con gli spiriti dei morti.
La sua vivacità intellettuale è, tuttavia, ‘fraintesa’ dal padre. Turbato dalle eccentricità della figlia e ancor più preoccupato dall’eventualità di uno scandalo, questi la fa internare a Salpêtrière, un ospedale costruito due secoli prima da Luigi XIV in cui vengono deportate donne affette da disordini psichici o ritardi cognitivi tra i più vari: mania, malinconia, oligofrenia, isteria.
Soprattutto quest’ultimo ‘disturbo’, a causa dei suoi sintomi enigmatici, sfida la comunità scientifica, sollecitando in particolare il talento clinico (e il narcisismo) del Dottor Charcot, passato alla Storia per essere stato il controverso maestro di Freud e il primo a ipotizzare, in séguito smentito, che l’isteria non dipendesse dall’utero ‘insoddisfatto’, disertato dal seme maschile – così come credeva Ippocrate –, ma da una lesione organica del cervello, trattabile con l’immersione prolungata in acqua gelida, massaggi alle ovaie, inserimento di cateteri uterini, ipnosi, isolamento e altre torture di dubbia efficacia terapeutica.
Il ballo delle pazze: lo scandalo dell’isteria nella Francia di fine Ottocento
Traduzione del materiale psichico non simbolizzato in manifestazione somatica irriducibile a cause organiche, l’isteria è una definizione clinica oggi caduta in disuso in ambito psichiatrico, ma che continua a essere utilizzata, con accezione più sfumata e mobile, nella pratica psicoanalitica: le isteriche di fine Ottocento, generalmente provenienti da contesti socio-economici elevati, riproducevano inconsapevolmente e istrionicamente, per ‘imitazione’, sintomi riconducibili a molteplici malattie, così da scaricare sul corpo perturbazioni inconsce inaccettabili (e inaccessibili) alla coscienza.
Mélanie Laurent, regista e interprete del personaggio-chiave di Génevieve, infermiera apparentemente inflessibile, ma in verità profondamente umana, nel trasporre sullo schermo il romanzo di grande successo scritto da Victoria Mas, si concentra sulla messinscena trascurando di approfondire il contenuto e lasciando, di fatto, sullo sfondo il nucleo – e nodo – della rivendicazione isterica attraverso il sintomo, quel rifiuto a identificare il corpo organico con il corpo simbolico, la carne con la mente, di cui le donne ‘isteriche’ si fanno ostinate vestali, ignare delle cause della loro sofferenza, a questa persino indifferenti, abbarbicate a un patire di cui alimentano inconsciamente il mistero e con cui intendono far vacillare le costruzioni del sapere ‘ufficiale’, delle certezze professorali e razionalizzanti.
Eugénie e Geneviève: due donne allo specchio in Il ballo delle pazze
Ne Il ballo delle pazze i corpi sono sì osservati e mostrati, ma mai davvero visti, ridotti a una sagoma a cui è appeso un volto, spesso contratto, sempre grossolanamente caricaturale: le pazienti-prigioniere di Salpêtrière non trovano nel film uno spazio singolare, bensì scimmiottano un’iconografia della follia tradizionale nella sua sguaiatezza allucinata, una sguaiatezza che satura e ostacola qualsiasi tentativo di emersione di verità individuali, dell’intimo segreto di un dolore.
La regista chiede al pubblico di regolare i conti, di attribuire la colpa del sacrificio delle vite di tante donne alla volontà patriarcale di cancellare la potenza sovversiva del femminile, invitandolo a interrogarsi su chi sia da considerarsi folle: se chi viene etichettato come tale o chi, invece, agisce coercizione e violenza per sbarazzarsi di ciò che non comprende e lo turba, talvolta insieme lo eccita e lo atterrisce.
In questa richiesta, più simile a un’estorsione, la complessità di tale materia, vibrante e ancora opaca, narrativamente feconda, si appiattisce; Mélanie Laurent, eccellente come attrice, sceglie, da regista, di levigare la superficie anziché rasentare le crepe che lascino intravedere il fondo ribollente della vicenda.
Un film a tesi che chiede al pubblico di leggere l’enigma clinico dell’isteria unicamente come reazione all’oppressione patriarcale
La drammaturgia non viene soltanto addomesticata, ma spenta nella forma, sopraffatta dalla sua bellezza e disinnescata dalla missione ideologica di stampo femminista: la scrittura della storia non si compie, non evolve in racconto rappresentato tramite i linguaggi propri dell’audiovisivo, ma a dipanarsi è soltanto una tesi scolastica che separa con taglio netto soggetti e oggetti di violenza, anziché insinuarsi nelle pieghe strette di una protesta attuata da alcune donne simultaneamente e paradossalmente attraverso e contro il proprio corpo.
Inevasa resta anche la questione del dono ‘medianico’ di Eugénie, di cui non viene spiegata la natura: un’apertura al sovrannaturale di difficile armonizzazione con il contesto realistico in cui è inserita, funzionale al plot, ma meno alla volontà autoriale di restituire dignità alle ‘isteriche’ e per nulla alla comprensione dello scandalo che queste donne hanno rappresentato nella società del tempo.