Il banchiere della resistenza (The Resistance Banker): recensione
Il banchiere della resistenza è un prodotto riuscito solo in parte che però ci fa riflettere su una dolorosa pagina della nostra storia.
Il banchiere della resistenza (Bankier van het Verzet il titolo originale, The Resistance Banker il titolo internazionale) è un film del 2018 diretto dall’olandese Joram Lürsen e incentrato sulla vera storia del banchiere Walraven van Hall, che durante la Seconda Guerra Mondiale, nella Amsterdam occupata dai nazisti, mise in piedi una vera e propria banca clandestina con cui finanziò la resistenza olandese. Il banchiere della resistenza è disponibile sul celebre servizio di streaming Netflix dall’11 settembre, ed è stato selezionato dall’Olanda come proprio candidato all’Oscar per il migliore film straniero.
Per contrastare la piaga nazista, i fratelli banchieri Walraven (Barry Atsma) e Gijs (Jacob Derwig) van Hall decidono di aiutare la resistenza olandese mettendo in piedi una vera e propria frode economica, sottraendo tramite prestiti ingenti quantità di denaro dalla banca centrale olandese per sovvenzionare la ribellione. Con il passare del tempo, l’operazione e il numero delle persone coinvolte si ingrandiscono sempre di più, aumentando così anche i rischi per i fratelli van Hall.
Il banchiere della resistenza: la frode bancaria come ancora di salvezza per un popolo
Il banchiere della resistenza sfrutta un’ambientazione storica inflazionata come la Seconda Guerra Mondiale da un punto di vista inedito e tutto sommato poco conosciuto, ovvero la resistenza olandese e nello specifico la ribellione portata avanti dai fratelli van Hall, con lo stratagemma subdolo ma decisamente efficace della sottrazione di risorse economiche al nemico. Una parte di storia importante e meritevole di essere raccontata, che però Joram Lürsen mette in scena, almeno per metà della durata del film, con un ritmo talmente blando da inficiare la resa dell’intera opera. Per diversi minuti assistiamo infatti a sequenze particolarmente verbose e poco ispirate dal punto di vista registico, che paradossalmente analizzano ciò che tutti conoscono, ovvero il quadro politico della seconda guerra mondiale, e affrettano ciò che invece avrebbe bisogno di maggiore profondità, ovvero il piano dei van Hall e i tratti caratteristici della loro personalità.
Ci troviamo così di fronte a un thriller storico che, per buona parte della sua durata, fallisce nel proprio intento principale, cioè quello di generare tensione facendo percepire allo spettatore i pericoli e la portata dell’impresa dei fratelli banchieri. Non aiutano in tal senso le anonime performance degli attori protagonisti e una fotografia decisamente scialba e monocorde, da prodotto televisivo di seconda fascia.
Il banchiere della resistenza aumenta di ritmo e intensità nella seconda parte
Il banchiere della resistenza migliora però sensibilmente nella seconda parte, parallelamente all’aumento dei personaggi coinvolti, delle difficoltà e di conseguenza, vista l’ambientazione storica, anche della violenza. La regia di Joram Lürsen si fa più dinamica e le musiche di Merlijn Snitker donano enfasi al racconto, accompagnando il film verso un climax emotivo che, anche se tardivamente, riesce a conquistare lo spettatore, rendendo giustizia a questa importante e poco celebrata storia. Aumenta così la resa scenica ed emozionale dell’impresa di questa sorta di Robin Hood olandesi, capaci di contrastare gli invasori sottraendogli soldi a favore dei più deboli, ma anche il rimpianto per la scarsa efficacia della prima parte, capace di scoraggiare anche gli spettatori più pazienti da un racconto che successivamente si pone su livelli più che dignitosi.
In conclusione, possiamo quindi affermare che Il banchiere della resistenza è un prodotto riuscito solo in parte, principalmente a causa di un’introduzione troppo lunga e compassata a un racconto che non ne aveva assolutamente bisogno, considerando anche la drammatica veridicità degli eventi. In un catalogo di film originali appiattito e dominato dalla mediocrità (salvo rare eccezioni) come quello di Netflix accogliamo comunque con piacere il tentativo da parte del colosso dello streaming di creare maggiore varietà e dare spazio a opere più impegnate come questa, capaci, seppur con qualche difetto, di fare riflettere su una dolorosa pagina della nostra storia come la Seconda Guerra Mondiale.