Roma FF17 – Il colibrì: recensione del film di Francesca Archibugi

La pellicola, che ha aperto l'edizione 2022 dell'evento cinematografico capitolino, è una lunga parabola sull'importanza della vita e dei legami. Un viaggio emotivo e sentimentale che arranca nella costruzione della storia.

Il colibrì è il film diretto da Francesca Archibugi (Questione di cuore, L’albero delle pere), scritto dalla stessa cineasta in compagnia di Laura Paolucci (La mia ombra è tua, Diaz) e Francesco Piccolo (Il traditore, Siccità). In particolare il film è ispirato all’omonimo romanzo di Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020 che vede come protagonista il dottor Marco Carrera che vive la sua vita rimanendo sempre uguale mentre subisce lutti, sconfitte, vittorie e delusioni amorose. Solamente con il passare del tempo scoprirà il vero valore dell’esistenza e degli invisibili fili che ci collegano ad altre persone.

Il colibrì, presentato in apertura alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, è un progetto complesso e ricco di tematiche importanti. Nonostante faccia molto riflettere, puntando i riflettori su aspetti della vita ai quali diamo poco peso, lo sviluppo della storia incontra qualche cortocircuito di troppo, come un montaggio tagliente e una sceneggiatura nella matassa infinita di contenuti presentati. Un film, che a fronte di un’incredibile cast in gioco, dove spicca Pierfrancesco Favino nel ruolo del protagonista, regala emozioni inaspettate. La pellicola, distribuita da 01Distribution, è disponibile dal 14 ottobre 2022 nelle sale italiane.

Il colibrì: la vita come un’avventura instabile, tra alti e bassi

Il colibrì - Cinematographe

Il colibrì, animale leggero e leggiadro, è una perfetta immagine che utilizza il libro di Veronesi prima e il film della Archibugi dopo per descrivere la vita di Marco Carrera (Pierfancesco Favino), un uomo ancorato ad un amore del passato, che per tutta la sua esistenza cerca in tutti i modi di rimanere sulla medesima posizione, ma viene travolto dalla vita stessa, che, come le ali del piccolo uccellino sopracitato, lo sbalza in direzioni totalmente inaspettate e lo travolge rapidamente. Lui stesso è definito un colibrì per la sua delicatezza d’animo e la sua immobilità, aggrappandosi sempre agli stessi punti cardine, che però piano piano lo fanno rovinosamente cadere.

Il lungometraggio, proprio perché segue pedissequamente il flusso vitale del protagonista, non è cronologico dal punto di vista narrativo e si muove agilmente tra passato, presente e futuro, dedicandosi a piccole scene di vita quotidiana, alle amicizie, ai dolori e ai rimpianti. Tutto si lega in una complessa trama dove apparentemente è tutto scollegato, ma in realtà ogni singolo attimo ha un peso preciso nell’esperienza di Marco. La regia, in particolare, riesce ad evocare, con un’attenzione millimetrica, le tante contraddizioni che albergano nell’essere umano, ponendo l’accento sul dolore che spesso l’uomo è costretto a subire.

Proprio le sequenze più drammatiche, sono dirette dalla Archibugi con una delicatezza da manuale, lasciando parlare le emozioni e non la musica, gli oggetti, la spazialità, più che le parole. Detto questo, la macchina da presa riesce al contempo a trovare la sua dimensione ideale nel raccontare la semplicità con gli sguardi e i sentimenti, evidenziando il cuore dei vari personaggi. Tornando invece alla scrittura, la struttura caotica con frequenti balzi temporali è probabilmente la forma più adatta per presentare una storia di questo tipo, dove è importante sottolineare che i collegamenti impliciti della nostra vita non sono sequenziali e diretti, ma subiscono spesso dei giri a vuoto e si legano insieme anche dopo anni.

D’altronde la perfetta metafora che Il colibrì ci presenta è quella della figlia del protagonista, Adele (Benedetta Porcaroli la interpreta da ragazza), che immagina di avere dietro di sé un filo invisibile che lo lega al padre. Un filo che, allargando gli orizzonti, ci unisce per l’appunto ad una rete complessa e interminabile di persone. Parlando invece del cast, se nel caso di Pierfrancesco Favino abbiamo l’ennesima conferma del suo talento straordinario che emerge in particolare in produzioni così delicate ed intense come Il colibrì, anche il resto degli attori si difende molto bene. Nota di merito in particolare per Nanni Moretti, che dà vita ad un personaggio secondario incredibile, anima irriverente e dissacrante del film ovvero lo psichiatra Carradori.

Il colibrì: immagini evocative, una struttura che rischia di crollare su sé stessa

Il colibrì - Cinematographe

Se già abbiamo speso parole d’elogio per lo studio delle immagini e dell’estetica del lungometraggio, così come per la regia, l’elemento più in bilico della realizzazione è proprio la sua struttura che più di una volta rischia di crollare su sé stessa. Se già la costruzione della storia ha dei limiti in quanto si perde molto spesso nei continui (forse troppi) passaggi temporali, rischiando di confondere gli spettatori, anche lo sviluppo dei temi portanti dell’opera trova qualche ostacolo lungo il percorso. Con l’avanzare dei minuti, infatti, ci si rende conto che la durata del progetto è fin troppo esigua per sostenere questo pesante impianto contenutistico.

Se arrivati ad un certo punto de Il colibrì si pensa di aver capito il tema fondamentale del lungometraggio, ecco che si ramificano altri tematiche importanti riguardanti la vita, le prove lungo il cammino, la difficile accettazione dei lutti e la continua lotta con noi stessi e gli altri. Un tesoro che progressivamente mostra nuove gemme preziose agli spettatori, che rimangono però imbrigliate dal poco spazio disponibile per rappresentarle al meglio. Proprio per questo motivo, la pellicola rischia di travolgere eccessivamente il pubblico con un turbinio di emozioni struggenti e commoventi che dovevano probabilmente essere calibrate diversamente.

Altro elemento di disturbo è il montaggio, che, in modo fin troppo brutale, taglia intere porzioni di vita del protagonista e delle persone che orbitano intorno a lui, lasciando fin troppi buchi nella storia. Mentre è ovvio che sia voluta tale direzione, ci si chiede se era realmente necessario frammentare così tanto l’esistenza di ogni singolo personaggio all’interno della realizzazione, così da rendere ancora più complicata la comprensione del contenuto della pellicola. Per quanto non siano eccessivamente criptici, i temi del lungometraggio richiedevano forse più rigore strutturale.

Il colibrì è un film dall’anima sfaccettata ed elegante, un progetto che, attraverso il racconto della difficile esistenza di Marco Carrera, prova a dare un senso alla vita. Un tema fondante che, inevitabilmente genera molte riflessioni portando altri contenuti che purtroppo soffrono all’interno di un minutaggio non sufficiente, anche con le due ore raggiunte. Detto questo, nonostante la struttura non perfettamente equilibrata, il pubblico viene trasportato in una spirale emotiva intensa, supportata da uno studio registico sopraffino, dove sono la semplicità e la delicatezza delle immagini a parlare.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.7