Biografilm 2021 – Il coraggio del Leone: recensione del film di Marco Spagnoli
Il documentario di Marco Spagnoli Il coraggio del Leone omaggia l’incredibile riuscita dell’edizione pandemica di Venezia '77, un anno di coraggio valoroso e frenesia cinefila di tornare nel buio della Sala. In anteprima al Biografilm Festival 2021.
La parola che più di tutte racchiude l’essenza di Venezia ’77 è “coraggio”. Una virtù felina di competenza solo dei leoni più intrepidi, quelli che da una situazione di sospetto pericolo riescono sempre a uscirne ruggenti. Il festival di cinema più antico del mondo è di certo un leone, non solo per la scelta simbolica di incarnare la sua essenza nell’animale feticcio della propria statuetta, ma soprattutto perché lo è stata nel 2020 pandemico, un anno in cui le circostanze straordinarie del pericolo da Covid si sono tramutate in esperienza collettiva di rilancio e di rinascita speranzosa della settima arte.
Il coraggio del Leone: dietro le quinte di un festival immortale
Un’anomalia resiliente e resistente, quella della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia numero ‘77, talmente peculiare da dedicarci un film, presentato all’interno del Biografilm 2021 e diretto dal regista, sceneggiatore e critico cinematografico Marco Spagnoli, già curatore della docu-serie Rai al femminile Illuminate. L’ultimo lavoro del documentarista dal titolo Il coraggio del Leone infatti, fotografa dal punto di vista privilegiato del dietro le quinte un’edizione audace e vincente, dapprima nata come scommessa ponderata e poi divenuta modello da esportare per i festival successivi. Lo racconta in prima persona Roberto Cicutto, produttore cinematografico e neo-Presidente della Fondazione la Biennale di Venezia, accanto al direttore artistico Alberto Barbera, ai quali va data tutta la fortunata riuscita dei dieci giorni di un anno fa.
Un azzardo calcolato quello dei due curatori, visto il lento ma progressivo declino dei contagi di fine agosto 2020, al quale si è poi allineata la consapevolezza di poter iniziare a pensare alla Mostra grazie all’arrivo di nuove proposte di film girati prima e durante il lockdown, accompagnati dalla voglia di registi e attori di esserci anche quest’anno, soprattutto quest’anno. Ribattezzato erroneamente Festival della Crisi, Venezia ’77, dopo la conferma di rappresentare il primo grande evento cinematografico ad essere vissuto in presenza e non da remoto, ha avuto bisogno, più che mai, di una madrina d’eccellenza: una donna e un’attrice in grado di infondere sicurezza e trasporto, soppesare l’importanza delle parole e sviscerarle con entusiasmo ritrovato difronte ad una platea ridotta di spettatori il cui sorriso è giocoforza celato dalla stoffa delle mascherine.
Anna Foglietta, madrina di Venezia ’77, soppesa il valore convinto delle parole, guardando al potere evocativo e collettivo della Sala
Barbera così, ha subito pensato ad Anna Foglietta, l’attrice romana di Perfetti Sconosciuti, qui anche affidabile madrina-Caronte concentrata a provare e riprovare il discorso di apertura e chiusura del 2 e del 12 settembre, confrontandosi con personalità giornalistiche sul destino del Cinema, e non privandosi di una gita tra le calli abitate da veneziani doc. Fluttuando nella laguna notturna sfiorata dall’atmosfera sospesa della magia della città, è con Anna che raccogliamo i pensieri e le impressioni di Piera Detassis, Presidente e Direttore Artistico della Fondazione Accademia del Cinema Italiano – Premi David di Donatello, sul ruolo preminente e urgente delle donne attrici, registe e spettatrici, (sul palco quell’anno, oltre alla Foglietta, anche Tilda Swinton e Cate Blanchett); e poi interventi interessanti e personali del giornalista Mattia Carzaniga, del regista Claudio Giovvannesi, degli attori nostrani Jasmine Trinca, Pietro Castellitto, Stefano Accorsi e Valeria Golino.
Il modello vincente e i luoghi del Cinema
Tutti d’accordo sull’importanza di presenziare a Venezia in quel preciso settembre 2020 dunque – nonostante l’assenza di pubblico a fomentare e a dare linfa vitale allo scintillio del red carpet, stavolta in versione sobria, ma comunque portando avanti l’eredità dei personaggi del passato, ricordati da Spagnoli con immagini d’archivio e in bianco e nero, quasi a voler omaggiare l’eternità di un festival divenuto immortale. Il coraggio del Leone appunto, onora proprio quest’aura trasognata e cinefila dell’evento veneto, in continuo dialogo tra ieri e oggi, lasciandosi spesso incantare dalla bellezza della laguna, dello storico Palazzo del Cinema e del lungomare Marconi. Un luogo, quello costruito ad hoc a Venezia, che ogni anno viene montato e poi smontato, come fosse il set di un film, alimentando l’immaginario e l’immaginazione collettiva, per poi sparire senza quasi neanche accorgersene nel fuori campo e nel buio della sala.