Il cosmo sul comò: recensione del film con Aldo, Giovanni e Giacomo
Il trio comico si cimenta in un film a episodi con la regia di Marcello Cesena, portandoci lontano dalle risate del 1997 e dalle pieghe sentimentali di Chiedimi se sono felice .
Ne Il cosmo sul comò, Pin (Giacomo Poretti) e Puk (Aldo Baglio) sono due uomini alla ricerca di se stessi e del senso della vita: a indirizzarli verso il ritrovamento di sé è il sedicente maestro e saggio Tsu’Nam (Giovanni Storti), che li istruisce sotto l’albero di Gingko biloba. Questa è la cornice all’interno della quale si sviluppano quattro episodi filmici: Milano Beach – cronaca di tre famiglie tragicomiche alle prese con la partenza per le vacanze – L’autobus del peccato – fotografia di una comunità parrocchiale alle prese con le tentazioni del denaro – Falsi prigionieri – parodia ispirata ai quadri animati di Hogwarts nella saga di Harry Potter – e Temperatura basale – che tratta con ironia del delicato tema della sterilità in una coppia. Le vicende “prendono vita” ogni volta che il saggio Tsu’Nam suona il Sacro Gong della Saggezza – provocando cataclismi sulle regioni vicine…
Una trama che vuole essere innovativa con la costruzione a episodi, ma che si rivela debole a partire dall’uso stesso di questo espediente narrativo che diluisce il pensiero di fondo facendolo di fatto disperdere. Il titolo del film – Il Cosmo sul Comò – diretto dal comico della Gialappa’s Band Marcello Cesena (qui alle prese con la seconda opera come regista dopo Peggio di così si muore), suggerisce il fil rouge che caratterizza la morale delle singole quattro vicende, ovvero come l’uomo sia alla costante ricerca di verità profonde che nella quotidianità si rivelano poi più vicine di quanto si fosse immaginato. Un punto di partenza che poteva condurre a riflessioni interessanti, sotto il registro comico, che però non vengono portate a compimento e che invece si perdono in banalità e cliché fin troppo visti.
Il cosmo sul comò: nostalgia dei tempi d’oro del trio
Siamo lontani dalle risate che nel 1997 con Tre uomini e una gamba hanno consacrato all’opinione pubblica il trio comico, perché qui i personaggi di Aldo, Giovanni e Giacomo non riescono a regalare allo spettatore gag esilaranti e originali come in passato. Vengono riproposti gli stessi caratteri già masticati più volte dal pubblico, e forse si sente anche la mancanza di Massimo Venier alla regia. L’unico sforzo per una prospettiva diversa viene fatto nel secondo episodio, L’autobus del peccato: questo è forse quello che tra i quattro convince maggiormente, sia per la tecnica che per l’aver osato ribaltare i ruoli consolidati dei tre attori che di consueto vedono Aldo sempre imbranato e irascibile, Giovanni iper pignolo e Giacomo succube degli altri.
Peccato, invece, per gli ultimi due episodi che non rendono il finale memorabile e che lasciano lo spettatore con un senso di leggerezza eccessiva – ridere risulta a tratti impegnativo. Ma qui la leggerezza non è intesa come quella piacevole che spinge alla risata, ma come un peccato di superficialità nel non aver bene utilizzato un’idea che avrebbe potuto portare a un risultato ben più apprezzabile.
Lo spettro dei difetti che rendono l’uomo troppo dipendente dallo status sociale, dal denaro, dalla pigrizia e dal pregiudizio viene come pizzicato e non affrontato sul serio nei rispettivi quattro episodi che avrebbero dovuto indagare e ironizzare con più acume su queste singole pecche dell’animo umano. Un film che si guarda con una vena di nostalgia, quella per gli anni d’oro del trio comico che però oggi sembra essere tornato più grintoso e accattivante rispetto a come lo vediamo in questa pellicola del 2008.