Il curioso caso di Benjamin Button: recensione del film di David Fincher
Un film che è riflessione sulla morte e sulla vita, sul tempo che passa e l'amore che resta.
Un ospedale, una donna (Cate Blanchett) in un letto, un diario da leggere. Un diario in cui un uomo, Benjamin Button, interpretato da Brad Pitt racconta la sua storia e il suo destino, infausto e “curioso”. Il protagonista è nato nel 1918 alla fine della guerra; la sua nascita causa la morte della madre durante il parto. C’è qualcosa di straordinario nella sua vita, il suo aspetto: il padre, Thomas Button (Jason Flemyng), ha una sconcertante sorpresa quando si accorge che quella creatura tra le sue braccia è un neonato vecchio e proprio per questo lo abbandona sulle scale di una casa di riposo gestito da Queenie (Taraji P. Henson). Questo racconta Il curioso caso di Benjamin Button, ispirato a un breve racconto di F.Scott Fitzgerald, film di David Fincher che raccoglie numerosi consensi (la pellicola ha 13 candidature all’Oscar e vince 3 statuette, scenografia, trucco ed effetti visivi).
Il curioso caso di Benjamin Button: la storia di un un vecchio bambino e un bambino vecchio
Benjamin Button è in fasce ma è avvizzito e con una salute cagionevole. Artrite, cataratta, sordità, tutto questo è ciò che affligge Benjamin, quasi, alla vista e secondo il parere medico, vicino alla morte, invece, contro ogni previsione, sopravvive e anzi, ringiovanisce. Un ottantenne malfermo sulle gambe, che di giorno in giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, lascerà alle spalle la vecchiaia imparando la giovinezza: il vecchio Benjamin è imprigionato nel corpo di un bambino e il neonato Benjamin imprigiona un’anima anziana. Le cose per lui vanno al contrario; tutto si complica quando incontra Daisy che è la nipote di una delle signore che abitano nell’ospizio in cui il giovane vive. Quegli occhi lo seguiranno e perseguiteranno tutta la vita, ma il tempo non è loro amico. Quando lei è ragazzina, lui è bloccato su una sedia a rotelle, quando è matura, lui è fisicamente nel fiore degli anni; c’è quindi un “piccolo”, “breve” istante in cui le loro esistenze coincidono: quello sarà il loro momento che diventa quasi luogo fisico. Il curioso caso di Benjamin Button si costruisce come una storia, orchestrata in maniera molto tradizionale – tutto incomincia da un flashback generato dalla lettura del diario di Benjamin, da parte della figlia di Daisy -, di un uomo diverso dagli altri, di una nazione attraverso i giorni straordinari di un essere altrettanto straordinario, di un amore, quello tra lui e Daisy, che tenta di andare oltre il tempo e le barriere. Fincher scrive un dramma romantico che si allunga forse troppo, un melodramma che qualche volta cade nello sdolcinato, un racconto di un amore che vince su tutto.
Il curioso caso di Benjamin Button: David Fincher porta al cinema un tempo diverso
David Fincher, uno dei registi più interessanti del cinema americano moderno, ha sempre portato sullo schermo narrazioni che hanno gettato lo spettatore in un vortice e i suoi personaggi in un labirinto – che è l’inconscio -, li porta su un filo, come funamboli, che potrebbero cadere da un momento altro, qui lavora su un altro piano, quello del tempo e dello spazio.
“Mi amerai ancora quando sarò vecchia?”
Così chiede Daisy a Benjamin quasi sentendo e prevedendo ciò che poi sarebbe accaduto. Daisy e Ben sono fatti di due “sostanze diverse”, i loro corpi ubbidiscono a leggi contrarie, quello di lei si fa fragile, non “funziona” più come un tempo proprio quando quello di lui si fa teso e vigoroso. Quando lei non riesce più a ballare perché l’unione di ossa e muscoli non risponde come una volta, in contemporanea lui si scopre giovane, cosa che non aveva mai provato prima. L’uomo avverte ripetutamente di essere diverso dalla donna che ama ed è questo il motivo per cui si allontana per non impedire a lei di vivere.
Il curioso caso di Benjamin Button dimostra che il tempo è si un “dio” maligno e malevolo che si prende gioco degli uomini ma è anche una regola sociale che può essere elusa. Benjamin e Daisy vivono in tempi diversi ma riescono a stare insieme proprio perché ciò che li unisce è più forte. Coincidenze, inversioni di marcia, bivi; tutto ciò getta in un tornando di avvenimenti, emozioni, scelte i due protagonisti. Fincher tira le fila, senza timore, grazie anche alla penna di Eric Roth – che ha scritto anche Forrest Gump -, portando sullo schermo un poema che racconta la costruzione di un tempo straordinario che aumenta di velocità, si blocca improvvisamente, si inceppa proprio per permettere ai due di incontrarsi veramente, nel profondo e unirsi celebrando il loro amore.
Il curioso caso di Benjamin Button: David Fincher porta al cinema un film che si concentra tutto sul corpo
“Non sai mai cosa c’è in serbo per te“
Con queste parole la donna che cresce Benjamin vuole tentare di “aprire” il ragazzo alla vita, parole che diventano quasi una sorta di riproposizione della scatola di cioccolatini di Forrest Gump. Entrambi sono toccati in un modo o nell’altro dal destino e dalla vita, sono due eccezionali, l’uno per quell’ingenuità quasi da cartone animato, l’altro per essere fuori sincrono rispetto il tempo del resto del mondo, ma, in entrambi i casi, i protagonisti riescono a trovare il loro posto grazie ad una presenza femminile. Certamente il film di Fincher diventa anche una riflessione sulla morte, qualcosa che capita e purtroppo fa parte della vita – i migliori amici di Ben sono gli abitanti dell’ospizio che ad uno ad uno lo abbandonano e lui impara questa crudele regola -, inesorabile e implacabile accidente con cui ciascuno deve fare i conti, una riflessione che resta ingabbiata sui e intorni ai corpi.
Pitt non perde il carisma e la forza interpretativa che ha contraddistinto, da un certo punto in poi, la sua carriera ma inevitabilmente resta intrappolato nell’invecchiamento di Benjamin. Questo è qualcosa di talmente fisico da polarizzare su di sé ogni cosa, ed è tanto costruito da diventare caricaturale – togliendo così un po’ di struggimento e malinconia alla storia.