Il fotografo di Mauthausen: recensione del film Netflix
Un film che racconta le infamie del Terzo Reich differenziandosi da altre pellicole dello stesso genere.
Il fotografo di Mauthausen (El fotógrafo de Mauthausen il titolo originale) è un film spagnolo del 2018, scritto da Roger Danès e Alfred Pérez Fargas e diretto da Mar Targarona. Il film racconta la vera storia di Francisco Boix, fotoreporter spagnolo che durante la sua reclusione nel campo di concentramento di Mauthausen trafugò migliaia di foto da lui scattate su commissione del Terzo Reich, che in seguito divennero prove fondamentali per il processo di Norimberga. I protagonisti del film sono Mario Casas, Richard van Weyden, Alain Hernández e Macarena Gómez. Dopo la distribuzione in Spagna, Il fotografo di Mauthausen è stato distribuito su Netflix il 22 febbraio.
Nel lager austriaco di Mauthausen, nella prima metà degli anni ’40, vengono rinchiusi migliaia di spagnoli, destinati alla morte o a massacranti condizioni igieniche o lavorative. Per le sue capacità di fotografo, il prigioniero catalano Francisco Boix (Mario Casas) viene impiegato dai nazisti al servizio identificazione, potendo così beneficiare di un trattamento leggermente migliore rispetto ai suoi compagni di sventura e soprattutto dell’accesso a un vasto archivio fotografico, che testimonia le atrocità del Terzo Reich. Con l’aiuto degli altri prigionieri e con l’approssimarsi della disfatta della Germania nazista, Boix mette in atto il sagace piano di trafugare i negativi di queste fotografie, in modo da aiutare il mondo intero a conoscere gli avvenimenti all’interno di Mauthausen e degli altri campi di concentramento.
Il fotografo di Mauthausen: la toccante storia di Francisco Boix
Nella copiosa filmografia sulle infamie del Terzo Reich, Il fotografo di Mauthausen si prefigge lo scopo di raccontare questa triste pagina della storia dell’umanità dal punto di vista dei prigionieri spagnoli e, nello specifico, di fare luce su un troppo spesso dimenticato caso di eroismo individuale, fondamentale per fare conoscere al mondo intero le malvagità perpetrate dalla Germania nazista. A differenza di altre pellicole sul tema, il film di Mar Targarona punta particolarmente sui dialoghi, insinuandosi fra le pieghe del potere del Reich e al tempo stesso offrendo un’efficace spaccato della vita nel campo di prigionia e del sentimento di fratellanza che progressivamente si instaura fra i compagni di sventura.
Il fotografo di Mauthausen presenta alcune sequenze notevoli dal punto di vista visivo, fra cui menzioniamo il raggelante montaggio alternato fra uno spettacolo comico e la barbara uccisione di un prigioniero, e in diversi momenti riesce a fotografare abilmente e realisticamente alcuni pietosi dettagli della vita dei reclusi, come i lunghi momenti passati nudi e al freddo alle dipendenze degli uomini del Reich. Nonostante questo, l’ostentato rigore nella messa in scena, una fotografia senza particolari spunti e una colonna sonora abbastanza anonima tolgono qualcosa dal punto di vista dell’empatia verso i prigionieri del campo di concentramento di Mauthausen. Scelta certamente dettata dalla necessità di mettere al centro dei riflettori la toccante storia di Francisco Boix e il suo atto di eroismo nei confronti dell’intera umanità, ma che alla lunga priva il film di una componente potenzialmente accattivante.
Il fotografo di Mauthausen: un film riuscito a metà
Non giova inoltre alla resa complessiva del film una ricostruzione abbastanza sciatta e povera degli interni e dello stesso campo di concentramento, più da prodotto televisivo di seconda fascia che da produzione cinematografica di alto livello. Sull’altro lato della bilancia, stupisce invece la performance del protagonista Mario Casas, dimagrito di svariati chili per la parte, che riesce con la sua espressività a esaltare i momenti migliori di una sceneggiatura particolarmente verbosa, a illuminare le sequenze meno riuscite sul piano registico e soprattutto a rendere il percorso interiore del protagonista, che con il passare dei minuti assume sempre più vigore.
Il fotografo di Mauthausen ha l’indubbio pregio di raccontare un tassello prezioso della fine del nazismo e di concentrarsi su un aspetto non sempre sottolineato in film di questo tipo, ovvero la comprensione dell’avvicinamento della fine del Reich da parte delle alte sfere del nazismo, con il conseguente scellerato tentativo di celare al mondo i loro crimini, riuscito solo in piccola parte. La generale piattezza della messa in scena limita però l’impatto emotivo del film, impedendogli di scuotere realmente lo spettatore.