Il giorno e la notte: recensione del film di Daniele Vicari
Nonostante le restrizioni dovute alla pandemia, il cinema non si ferma e travalica le barriere imposte dal lockdown.
Durante il lockdown dello scorso anno molti sono stati i settori che hanno sofferto per via della pandemia globale: quello dell’entertainment è stato uno dei più colpiti, portando non solo al blocco totale dei cinema, teatri, luoghi culturali, ma anche della maggior parte della produzione audiovisiva.
Molti sono stati gli esempi di rivalsa, attraverso i quali si è cercato di dare un senso al blocco totale e al ruolo dell’arte per le persone costrette al lockdown, timidi segni di rinascita per un settore che attraversa una crisi strutturale ormai da molti anni e che è stato penalizzato ancora di più.
Daniele Vicari, cavalcando questo sentimento di rivalsa, ha deciso di intraprendere un percorso inverso alla messa in scena tradizionale, discostandosi dai teatri di posa e dal set per trasferire la produzione nelle case degli attori. Nasce così Il giorno e la notte, che esce sulla piattaforma RaiPlay il 17 giugno, e che sarà possibile visionare gratuitamente senza costi ulteriori.
Un modo innovativo di fare cinema
Il film è stato pensato per essere un modo di vincere il lockdown nazionale attraverso la forza e la passione degli attori, che si sono occupati di tutta la parte organizzativa della messa in scena coadiuvati attraverso videocall dal regista, dal direttore della fotografia e dagli altri professionisti del settore.
Il risultato è stato un film girato nei primissimi giorni di lockdown attraverso mezzi tecnologici non professionali, ma che comunque hanno garantito una buona riuscita del prodotto audiovisivo.
Anche la storia narrata è emblematica: Roma viene minacciata da un attacco terroristico batteriologico, costringendo dentro casa migliaia di persone. Le dinamiche di tre coppie vengono messe alla prova dalla convivenza forzata, mentre in un altro caso è proprio la distanza a portare i due protagonisti a fare chiarezza sui loro sentimenti.
Il giorno e la notte: un’estetica “casalinga”
Le premesse de Il giorno e la notte sono abbastanza buone, la morale intrinseca nella produzione della pellicola è senza dubbio molto interessante e anche l’effettiva riuscita del film è di notevole pregio per essere stata realizzata con dispositivi come cellulari o GoPro, ai quali sono stati abbinati dei programmi di trasformazione di prestazioni per renderli simili alle macchine da presa cinematografiche. La fotografia è decisamente interessante, coniugando riprese sporche ed inquadrature sghembe con una meditata rappresentazione scenografica e fotografica data dal controllo costante del regista e del direttore della fotografia attraverso la mediazione del computer.
La narrazione si configura come un montaggio parallelo in cui si alternano le sequenze delle quattro coppie protagoniste, che condividono la medesima situazione di convivenza forzata e che devono appianare i loro dissidi, le incomprensioni e i conflitti. Il pretesto dell’arma batteriologica non è del tutto convincente, risultando non completamente credibile sebbene anche nella vita reale tale minaccia possa essere plausibile. Tale espediente è stato coniugato nel film alla reale condizione pandemica e al relativo lockdown che ha interessato il nostro Paese grazie a riprese dal vero dei giorni successivi all’annuncio dello stato di emergenza, con inquadrature di strade deserte, persone alle finestre e sui balconi e forze dell’ordine che eseguono i posti di blocco per chi forza il divieto di uscire dalle case.
La recitazione è sentita, anche se non si presenta eccessivamente drammatica o particolarmente enfatica, rimanendo abbastanza pacata senza troppi eccessi attoriali.
Nel complesso Il giorno e la notte si presenta come un manifesto per la rinascita del cinema in un momento storico e sociale complicatissimo, imponendosi come un modello da seguire per mostrare quale sia il vero spirito del lavoro nel settore dell’audiovisivo.