Il giovane Picasso: recensione del docu-film di Phil Grabsky
La recensione de Il giovane Picasso, distribuito in sala da Nexo Digital il 6, 7 e 8 maggio
Al cinema il 6, il 7 e l’8 maggio, Il giovane Picasso, docu-film firmato da Phil Grabsky e distribuito da Nexo Digital.
Guardare un documentario su Picasso è quasi come guardare un film thriller: è una magia possibile solo quando ci si trova di fronte al mistero di un talento profondissimo, animale e prodigioso come il suo. Com’è possibile che il piccolo Pablo abbia realizzato il suo primo dipinto a otto anni? E com’è possibile che le sue abilità siano state così cangianti e camaleontiche, com’è possibile che dalle prove da adolescente al linguaggio pittorico trovato già nella prima età matura sia passato un intero universo di sperimentazioni e stili, dall’impostazione accademica degli anni di scuola sino alla semplificazione della forme, alla loro ‘rigidificazione’ precorritrice degli esiti cubisti, spostati di gran lunga al di là del reale e delle sue modalità di esplorazione convenzionali?
Il giovane Picasso: la nascita del Mito
Ne Il giovane Picasso, docu-film che Phil Grabsky dedica all’artista malagueño prima che diventasse il Picasso iconico, quello che tutti riconosciamo come tale, ogni attimo è stupefazione. Impossibile non restare ammirati dalla sapienza con cui il Picasso non giovane, ma giovanissimo, poco più che bambino, dipingeva i più svariati soggetti, dalle prime comunioni a scene d’ospedale con moribondi come protagonisti. Picasso ragazzino, figlio di padre pittore e di nonno guantaio, cominciò ben presto a diventare insofferente agli insegnamenti impartiti nelle scuole di Coruña, Madrid, ma soprattutto Barcellona dove si era recato a studiare, in seguito ai trasferimenti del padre: l’accademismo gli stava stretto e il realismo pure, anche se, senza le regole e le tradizioni assorbite, non sarebbe nato in lui alcun seme di ribellione e Picasso, forse, non sarebbe diventato Picasso.
Il giovane Picasso: il rivoluzionario dell’arte
La volontà di rigettare l’elemento appreso, il codice imposto da consuetudini pittoriche stantie, è un fuoco che comincia presto a divampare in lui: nel 1901, non ancora ventenne, Picasso lascia Barcellona – città in cui frequentò una scuola di Belle Arti, ma di cui apprezzò soprattutto le spregiudicatezze moderniste di Gaudì – per Parigi, allora il centro del mondo per artisti, poeti, intellettuali. Fu lì che cominciò la sua ricerca identitaria: i libri di scuola indicano la fine del 1901 come l’inizio del periodo blu. Da quel momento e fino al 1904, in effetti, Picasso dipinse soprattutto poveri, vagabondi, madri dolenti e affamate, ma quel che, in una modulazione cromatica irripetibile, insieme luttuosa e metafisica, fredda e struggente, in realtà dipingeva non erano poveri, vagabondi o madri, ma l’idea stessa della povertà, del vagabondaggio e della maternità sofferente. L’immagine riprodotta non era già più un oggetto di realtà, ma un simbolo, una forma semplificata che scavalca il reale per aggrapparsi all’universale e all’eterno.
Esaurita quell’ispirazione, Picasso cominciò ad appassionarsi di saltimbanchi: la fascinazione per il mondo circense lo condusse a quello che impropriamente viene definito come periodo rosa, ma di rosa ve n’è, in verità, assai poco. I toni si scaldano, il linguaggio si fa progressivamente sempre più moderno, sempre più lanciato verso le soluzioni d’avanguardia: Picasso ha trovato il suo tratto, ha finalmente disimparato tutto l’appreso per ritrovare il nocciolo, la fonte pura del genio, il desiderio brutale di dipingere no quello che si vede, ma la verità invisibile, la radice di ogni emozione umana.
Il rigore storico ne Il giovane Picasso
In questo affascinante viaggio all’interno del primo Picasso, quello degli sbandamenti, delle esplorazioni e della ricerca, ci conducono curatori e studiosi della Fundación Picasso-Museo Casa Natal di Málaga, del Museu Picasso e del Museu Nacional d’Art de Catalunya di Barcellona, del Musée National Picasso di Parigi, insieme al nipote dell’artista Olivier Widmaier Picasso. Per fortuna, assai meritoriamente, nel documentario non trovano spazio illazioni sulla vita sentimentale del pittore, notoriamente travagliata e spesso oggetto di sterili controversie. Vi è solo un riferimento, debito e circoscritto, a Fernande Olivier, una delle sue prime muse e amate, con la quale Picasso ebbe una relazione segnata da reciproche e tormentose gelosie.
La prospettiva nuova – raccontare il genio prima che diventasse icona – e la qualità realizzativa rendono, così, Il giovane Picasso un film riuscito e stimolante che ci insegna e ci spinge a rinnovare la gratitudine per l’opera inestimabile di un uomo che, negli anni dell’apprendistato, volle soprattutto dimenticare sempre più ciò che aveva imparato, ‘sfigurare’ la figura appresa, superarne il concetto imposto e codificato. La sua rivoluzione fu una stregoneria e un enigma ed è impossibile a noi tutti afferrarne il segreto: quel che resta allo sguardo è un senso quasi di miracolo.