Il Gladiatore II: recensione del film di Ridley Scott

A distanza di ventiquattro anni, Ridley Scott torna al Colosseo. Scordate però la vendetta crepuscolare e la rabbia laconica del precedente capitolo e lasciatevi sorprendere; si fa per dire; dai cieli azzurri, i volti bonari e la tolleranza, che qui fanno da padroni. Sul Gladiatore a misura di bambino e il nuovo cinema politically correct di Ridley Scott. In sala dal 14 novembre

Molte cose cambiano nel tempo; molte cose, ma non tutte”. Ventiquattro anni fa, queste parole venivano pronunciate dalla Lucilla di Connie Nielson, nel primo indimenticabile capitolo de Il Gladiatore. Dittico ormai diventato saga, firmato da Ridley Scott, David Franzoni, John Logan, William Nicholson, Michael Pruss, Douglas Wick, Lucy Fisher e David Scarpa. Un vero e proprio battaglione di autori, che ci dimostra ancora e per sempre, quanto i kolossal hollywoodiani non abbiano mai smesso d’essere prima di ogni altra cosa, operazioni creative e commerciali incredibilmente travagliate e complesse. Capaci di passare nel corso degli anni, attraverso una moltitudine di mani, volti e sensibilità stilistiche, dunque rimaneggiamenti, fino a raggiungere completezza.

Dall’oscurità alla luce. Il conto però è salato. Scott sarà in grado di far fronte?

È profondamente vero ciò che dice Lucilla nel primo capitolo. Non tutto è destinato a cambiare. Lo dimostra infatti l’evoluzione, o meglio, il saldo mantenimento del suo arco narrativo, all’interno de Il Gladiatore II. Ventiquattro anni che non sembrano affatto essere trascorsi, guardando alla Lucilla della Nielsen, eppure è così. Lo dimostrano l’evoluzione stilistica di questo secondo capitolo e l’evidente cambio di passo, che Ridley Scott opera fin dal primo minuto, distanziandosi immediatamente dai toni cupi, crepuscolari e brutali del film originale, favorendo la luce abbagliante ed il calore, che però non risulta mai davvero tale in questo secondo film.

In linea con il precedente capitolo, anche Il Gladiatore II ha inizio con una grande battaglia. Dapprima in mare e poi a terra. Scott certamente non ha perso la mano e nemmeno lo sguardo, permettendo allo spettatore di parteciparvi con il massimo coinvolgimento emotivo. Visivamente spettacolare e impeccabile nella resa coreografica degli scontri a fuoco e fisici, la battaglia iniziale non può far altro che esaurirsi, ancor prima che la tensione e l’adrenalina siano diventate realmente tali. Non vi è infatti alcuna volontà di dilatarne gli eventi, soffermandosi; per dire; su di un uccellino in volo, o altrimenti sui volti e i corpi dei soldati, o gli alberi, più simili a moncherini ed arti amputati, che a polmoni vitali di una terra ormai arida. Bensì, quella di affrettare testardamente le dinamiche di guerra, così da proseguire col racconto, nella speranza, altrimenti detta convinzione, che questo, possa certamente offrire qualcosa di meglio e di più. Sarà così?

Paul Mescal, protagonista assoluto di questo secondo capitolo, ce la mette tutta, eppure è sufficiente svestirlo dei panni logori dello schiavo in prima battuta e del gladiatore poi, mettendogli addosso una t-shirt qualsiasi e così un paio di jeans o shorts, evidenziando fin da subito, la parziale o totale che dir si voglia inadeguatezza del medesimo, in un ruolo di tale brutalità, conflittualità e rabbia. Tornando infatti all’originale, risulta inevitabile ricordarne una celebre stroncatura ad opera del leggendario ed ormai tristemente compianto Roger Ebert, che descrive così il gladiatore di Russell Crowe: è efficiente nei panni di Massimo: barbuto, taciturno, meditabondo e feroce”. Insomma, tutto ciò che qui sembra mancare a Mescal, dunque al film. Tutto ciò che invece incarnava appieno Crowe, la cui rabbia non era interpretata, come noto, ma reale. Tanto nei confronti degli sceneggiatori, quanto di Scott. Una differenza significativa, capace di rendere Il Gladiatore di ventiquattro anni fa, ciò che ancora oggi è, un capolavoro.
Dall’oscurità, alla luce. Dalla rabbia, al dolce sorriso di Mescal, perfino nei momenti di grande intensità. Il conto per Scott, risulta salato fin da ora. Farà fronte o soccomberà?

Il Gladiatore II: valutazione e conclusione

Il Gladiatore II: recensione del film di Ridley Scott

Se è vero che Ebert lamentava un eccessivo utilizzo di toni cupi, gelidi, meditabondi, crepuscolari e fangosi, a suo dire necessari “ad oscurare gli squallidi effetti speciali del film (il Colosseo di Roma sembra un modello di un gioco per computer)”, è altrettanto vero che Il Gladiatore II non possa che risultare ad oggi, una risposta tardiva da parte di Ridley Scott, David Scarpa e l’intero team di autori e interpreti, alle esplicite e gigionesche richieste dello stesso Ebert. Il critico lamentava infatti “la costante presenza di personaggi che non portano allegria, poiché amareggiati, vendicativi, depressi”, supplicando Scott: “Alla fine di questo lungo film, avrei barattato qualsiasi vittoria dei gladiatori per una sola inquadratura di cielo azzurro”. Il punto dunque è proprio questo. Tutto ciò che Ebert non può – giustamente – rintracciare nel capitolo originale, qui trova campo largo, anzi larghissimo.

Non vi è più oscurità, non vi è più rabbia. Né tantomeno necessario e crepuscolare inseguimento della vendetta, in nome di un amore e un ideale, sepolti entrambi e in modo differente dalla violenza. Stuprata in gruppo, torturata e infine uccisa dai soldati di Commodo, la giovane moglie del gladiatore Massimo, di fonte al figlioletto destinato poco dopo alla medesima sorte. Nel frattempo, affossata e data in pasto alle fiamme della corruzione e dell’omertà, la città di Roma e così il sogno dell’imperatore Marco Aurelio. Come non reagire a tali accadimenti, se non attraverso i toni oscuri, crepuscolari e fangosi della vendetta e della rabbia?

Pur presente, la vendetta qui è svanita. Poiché all’amore perduto questa volta, allevia le ferite sanguinanti e dolorose, la capacità del perdono e con essa la tolleranza. I protagonisti delle vicende, a partire dal gladiatore di Paul Mescal, fino al Marco Acacio di Pedro Pascal e al Macrino di Denzel Washington (che finalmente non blatera più, ed è un’enorme fortuna), fatta eccezione per l’oscurità tragica, mantenuta dalla Nielsen e dal folle e giovane imperatore Geta di Joseph Quinn, sono personaggi che soddisfano finalmente il requisito di Ebert. Portano allegria, non più vendicativi, non più depressi, laddove invece, avrebbero tutte le carte in regola per esserlo.

Spazio ai cieli azzurri, spazio al gladiatore che ha scordato la rabbia, soffocandola immediatamente nell’espressione bonaria di chi di lì a poco, interpreterà la prossima grande rom-com della stagione. Il sangue scorre a fiumi, ma soltanto nella conclusione del film. Come a voler richiamare disperatamente la propria cifra stilistica adulta, altrimenti perduta in un capitolo secondo de Il Gladiatore, che non è più a misura d’uomo, bensì di bambino. Non c’è dubbio, Roger Ebert l’avrebbe amato. Noi certamente meno. Ci resta però la resa visiva e spettacolare della faccenda, che ad ogni modo non è cosa da poco. “Hai un grande nome, dovrò uccidere il tuo nome prima di uccidere te!”. Non è soltanto una delle moltissime e note citazioni del primo film, ancora una volta profetico, ma anche la volontà più profonda e bislacca di questo secondo. Spoiler: Non ci è riuscito.

Il Gladiatore II è in sala a partire da giovedì 14 novembre 2024. Distribuzione a cura di Paramount Pictures Italia.

Regia - 4
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

2.8