TFF37 – Il grande passo: recensione del film

Una dramedy leggera in cui la favola e il realismo si passano il testimone vicendevolmente.

L’idea era nell’aria, la voce girava da tempo, ma nessuno era mai passato dalle parole ai fatti. Ci ha pensato Antonio Padovan che nella sua opera seconda dal titolo Il grande passo, presentata in anteprima nel concorso del 37° Torino Film Festival, è finalmente riuscito a mettere insieme due attori fisicamente separati alla nascita come Giuseppe Battiston e Stefano Fresi, affidando loro il ruolo di due fratelli l’uno l’opposto dell’altro.

Il grande passo: Battiston e Fresi finalmente insieme nel ruolo di due fratelli agli antipodi

Il primo veste i panni di Dario Cavalieri, un ex ingegnere aerospaziale che da quando, a sei anni, ha visto in diretta le immagini del primo sbarco sulla Luna, non ha mai smesso di volerci andare. Il secondo invece è Mario Cavalieri, un mammone che gestisce una ferramenta di quartiere a Roma. La vita di quest’ultimo scorre regolarmente fino al giorno in cui viene sconvolta dallo squillo del telefono. Suo fratello Dario è in prigione. Mario si ritrova a essere l’unico che può occuparsi di quel fratello che ha visto una sola volta in vita sua. I due fratelli, tanto simili fisicamente quanto differenti caratterialmente, si ritroveranno soli di fronte a un’impresa impossibile. Per sapere quale essa sia vi rimandiamo alla visione del film, prossimamente nelle sale con Vision Distribution.

Il cineasta veneto mette la propria firma su una storia che parla di legami affettivi, di diversità intesa come fonte inesauribile di arricchimento e del bisogno epidermico dell’essere umano di credere nonostante tutto e tutti in qualcosa, anche quando quel qualcosa appare sulla carta irraggiungibile. Con Il grande passo, il regista di Finché c’è prosecco c’è speranza, porta sul grande schermo un classico come la reunion fraterna. Per farlo mescola il cinema infantile e sentimentalista degli inguaribili sognatori made in USA, dove l’ingenuità viene vista come valore e inno alla meraviglia, con quello più d’ambientazione e poetico di stampo mazzacuratiano.

Il grande passo: il cinema americano degli inguaribili sognatori incontra quello più realistico e d’ambientazione

Il risultato è una dramedy leggera nella scrittura e nella sua trasposizione, dove la favola si passa vicendevolmente il testimone con il realismo, raggiungendo un equilibrio e una pacifica convivenza. Siamo nella media abitualmente raggiunta dalla produzione made in Italy quando si tratta di fare sorridere e al contempo riflettere senza necessariamente sbraitare per attirare l’attenzione e strappare risate con uno humour prepotente. Padovan sceglie un’ironia più low profile e per metterla in pratica si affida ai dialoghi e all’interazione tra i personaggi, con Fresi e Battiston che se li cuciono addosso quel tanto da funzionare sia singolarmente che in coppia. Ma non è tutto rose e fiori, perché immancabili sono gli alti e bassi che si registrano lunga la timeline, dove a scene più riuscite si alternano altre più accessorie e appesantite da futili digressioni. Il che rende tutto più frastagliato e discontinuo, ma comunque non abbastanza da rendere la visione meno piacevole.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 0
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2

1.8