Il Grinch: recensione
All’interno di un fiocco di neve, c’è il paese di Chinonsò, abitato dai nonsochi, sempre indaffarati a prepararsi al Natale. Comprano regali, li impacchettano, li spediscono, presi dalla frenesia, presi dagli affari.
Solo un abitante di Chinosò non sente il Natale, anzi, lo odia con tutte le sue forze: è il Grinch, un essere verde, alto, spaventoso, esiliato al di sopra del monte Briciolaio, dove vive trovando nella discarica dei nonsochi ciò di cui bisogno. Unica sua compagnia, Max, un cane che traveste da renna.
Il Grinch sta però per avere una sorpresa speciale per questo Natale, sta per essere invitato alla festa di Chinonsò. La piccola Cindy Lou vuole che quest’anno la festa sia diversa, abbia un significato diverso rispetto ai doni da dare e ricevere, e con il permesso del sindaco, va ad invitare personalmente il Grinch, convincendolo.
Quello che però né Cindy Lou né noi sappiamo, è che il Grinch ha vissuto un trauma, nascosto ma mai dimenticato, ed è per questo che ora vive cosi: un trauma che risale ai tempi in cui era un bambino, preso di mira e sbeffeggiato dai suoi compagni di classe. Rivederli, tutti belli e uniti alla festa, porterà questo trauma ad emergere, fino al concepimento di un diabolico piano: il Grinch rovinerà il Natale ai tutti i nonsochi, in tutta Chinosò! Ruberà loro i regali, le decorazioni, perfino gli alberi di Natale. Ma questo basterà a fermare lo spirito natalizio? Basterà a fermare la dolce Cindy Lou? Basterà a far sentire felice il Grinch?
Sappiamo tutti la risposta, perché ormai Il Grinch è diventato un classico, uno dei film natalizi per eccellenza, nonché appuntamento fisso per sentire l’avvicinarsi delle feste.
Il Grinch: “Questo non può essere, non deve e non si fa: né oggi, né allora, né domani alla stessa ora!”
Di anni dalla sua uscita ne sono passati ben 15, e se in Italia solo nel 2000 abbiamo imparato a conoscere per bene le fattezze di questo mostro verde ma dal cuore d’oro, in America, grazie ai libri del Dr. Seuss da cui è tratto, era già una star, protagonista di fumetti e serie televisive.
A renderlo un icona, però, ci voleva quella faccia di gomma di Jim Carrey che, irriconoscibile dietro tutto quel trucco, tutto quel costume, incanta i più piccoli come i più grandi, gigioneggia alla grande, strafacendo in modo esuberante! Sua piccola spalla, la piccola Taylor Momsen, che avrà modo di crescere tra le fila di Gossip Girl, prima, e come cantante hard rock del gruppo The Pretty Reckless poi.
A dirigerli la mano esperta di Ron Howard (in queste settimane al cinema con Heart of the Sea), artigiano d’eccellenza di Hollywood che non ha saputo dire di no a una storia così classica, e ad un film buonista, vero, ad una favola con la sua morale facile da comprendere. La storia è semplice e forse un po’ banale, ma comunque capace di convincere tutti, anche i più scettici, anche i più “grinch”.
A caratterizzare il film è sicuramente la voce narrante (in originale quella di Anthony Hopkins) che rima quanto accade, che trasforma il tutto in una fantastica favola. Ma l’aspetto tecnico più interessante è sicuramente quel trucco che trasforma i nonsochi in esseri piccoli, teneri, dal naso all’insù, e Jim Carrey nel Grinch, ovviamente. Non a caso, la magia che hanno saputo creare i truccatori, Rick Baker e Gail Rowell-Ryan, ha fatto guadagnare ai due professionisti appena citati un Premio Oscar (arrivando così al sesto, ma non l’ultimo, della loro carriera).
Non da meno è comunque la scenografia zuccherosa, natalizia fino al minimo dettaglio, per cui tutti vorremmo trasferirci nel paese di Chinonsò, e quelle musiche, altrettanto festose, che accompagnano l’azione.
Al di là dei pregi tecnici, Il Grinch, amato e odiato, bistrattato inizialmente ma ormai un cult generazionale e che trapassa più generazioni, lo si ama per quello che racconta, per quello spirito natalizio contagioso che potrebbe trasformare davvero tutti, soprattutto i più cattivi in più buoni.