TSPLUSF: Il Guardiano del Ghiaccio – recensione del film di Salvatore Metastasio
La recensione de Il Guardiano del Ghiaccio, il film diretto da Salvatore Metastasio presentato al Trieste Science + Fiction Festival
L’esistenza di Claus (Alessandro Vantini) è di sicuro poco invidiabile. Uomo malinconico, solitario, che tende ad autoescludersi da tutto e da tutti, vive in cima ad una montagna che sembra perennemente coperta di neve, avvolta da un freddo e da un’oscurità ossessiva, opprimente e senza scampo. A tenergli compagnia solo il fido cane e, all’insaputa di coloro che lo circondano, la sorella (Giulia Morgani), malata mentale che tiene rinchiusa e segregata lontana da tutto e da tutti. Deciso a trovare una cura per la sorella (sempre più instabile) il protagonista finirà progressivamente dentro un incubo che lo porterà a oltrepassare il limite, a rimanere imprigionato dentro un labirinto orrendo e senza via di scampo…ridotto ad essere ormai Il Guardiano del Ghiaccio che circonda la sua persona e la sua anima.
Diretto da Salvatore Metastasio (già autore di Cruel Tango), Il Guardiano del Ghiaccio rappresenta qualcosa di più unico che raro nel panorama cinematografico italiano. Innanzitutto è un film difficilmente definibile, non appartiene ad un genere ma ne contiene molti, dall’horror, al thriller, dal drammatico al fantascientifico, si muove all’interno di un universo ascetico, claustrofobico, dominato da colori opprimenti, oscuri, decadenti. Sicuramente è un film dove la malattia mentale, nella sue forme più gravi, avvolge la realtà, la modifica, la fa sua, lasciando ben poche certezze allo spettatore, che poi in realtà diventano nessuna in un finale rocambolesco e sorprendente.
Il tutto è tenuto assieme, oltre che da una regia esemplare dal punto di vista tecnico e narrativo, da una grande chimica tra i due interpreti: tra un Alessandro Vantini sempre mutevole e in bilico nei toni ed una Giulia Morgani (co-sceneggiatrice tra l’altro) che si sdoppia, si triplica, si smaterializza, che omaggia i personaggi creati a suo tempo da Aldrich, da Edgar Allan Poe, da Hitchcock e Robert Bloch. Complesso nella scrittura e nelle linee narrative, evita quasi sempre l’eccesso di enfasi, il gigioneggiare che purtroppo sovente condiziona anche gli esperimenti cinematografici teoricamente più innovativi del nostro cinema teoricamente più propositivo e non commerciale.
Il Guardiano del Ghiaccio è sicuramente un film non facile per lo spettatore, che viene sovente maltrattato, stressato, a cui non viene risparmiato nulla, a cui lascia addosso quasi la sensazione di colpevolezza che alla lunga raggiunge il protagonista. Esemplare nel ritmo e nella sua oscura e claustrofobica forma, soffre forse quando vuole spaziare verso il genere sci-fi, con cui ha ben poco in comune e che non aggiunge molto ad un insieme a cui forse non serviva tale espediente narrativo. Il resto del cast, che comprende Pietro De Silva, Fabio Balasso ed Emanuele Corradini, è ben guidato e l’insieme è sicuramente sublimato dall’ottima fotografia di Onofrio Damiano e dalla scenografia di Angelica Lupi. Ma sono anche le musiche di Francesco Perri ad essere perfettamente calzanti nella loro ossessiva tenebrosità a questo iter cinematografico atipico e spiazzante.
Originale e vivido, Il Guardiano del Ghiaccio rappresenta quindi una novità di non poco conto, un qualcosa che si ricollega a quella cinematografia di Bard Anderson, per esempio, che ha fatto di originalità e indipendenza creativa il suo tratto fondamentale.